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Final Fantasy XIII | Episode Zero | Parte III: Treasure

Capitolo 1

Chi avrebbe pensato che sarebbe diventata una cosa così grossa?
Soldati dappertutto, tutto quel trambusto. La prima volta che ti ho incontrato, era tutto così tranquillo. Fammi pensare… è stato otto giorni fa, giusto? Sì, solo otto giorni. In questi otto giorni, è successo tutto questo. Non so nemmeno più cosa stia succedendo.
Non riesco a crederci. Papà si è arreso del tutto. Be’, anche tu…

“Papi, voglio quello!”
Dajh gli strattonò il braccio, e Sazh si fermò senza nemmeno pensarci. Quando i bambini chiedono qualcosa ai loro genitori, tirano, strattonano e corrono intorno finché non ottengono ciò che vogliono. Suo figlio Dajh aveva solo sei anni, ma riusciva a tirare un adulto come Sazh senza tanti sforzi.
“Ehi, perché non lo compriamo al ritorno?”
Sazh aveva portato Dajh alla Gola di Euride. Non si ricordava quando, ma Dajh aveva detto di voler vedere un fal’Cie.
Se volevi vedere un fal’Cie su Cocoon, l’unico luogo in cui andare era Euride, dove si poteva vedere il fal’Cie Kujata. Sazh aveva cercato un po’ in giro e aveva trovato un posto libero per quello che sembrava il perfetto pacchetto comprensivo di tour. “Una vacanza in famiglia: visita Euride e Bodhum”: così era intitolato il tour. L’aeronave e la stanza d’albergo erano prenotate e veniva dato del tempo libero per esplorare i vari luoghi per conto proprio. I bambini godevano di un ottimo sconto e sembrava una cosa divertente.
Ecco perché ora erano diretti dalla stazione di Euride alla centrale energetica. Il posto era pieno di turisti e ad ogni angolo c’era un negozio di souvenir. Sazh aveva capito che Dajh avrebbe voluto fermarsi da qualche parte. Voleva un qualche palloncino a forma di animale, oppure forse era attratto da quei dolci colorati…
“No! Adesso! Adesso!”
Dajh gli tirò il braccio con ancora più forza. Tutti i bambini sono così, dicono quel che vogliono quando lo vogliono. Sazh si ricordò di quando da piccolo faceva la stessa cosa; quanto era felice quando otteneva ciò che voleva.
Ma c’era una cosa di cui non si era reso conto da bambino. Gli adulti che gli davano ciò che voleva erano ancora più felici di farlo.
“Va bene, va bene. Solo per questa volta.” Solo dire questo lo fece sorridere.
“Allora, cos’è che vuoi?”
Erano davanti a un negozio di animali. Non era un qualche negozio locale, ma una catena che aveva negozi dovunque.
“Voglio quello giallo!”
“Vediamo, qual è?”
C’erano un sacco di gabbie diverse allineate davanti al negozio. Solo per far capire quanto fosse grande il negozio, non avevano solo normali cani e gatti, ma avevano anche mostri i cui geni erano stati riadattati per renderli innocui.
“Quello giallo… quale giallo?” I suoi occhi si fermarono.
“Non… non intendi… quello?”
In una delle gabbie più grosse c’era seduto un Budino giallo. Il Budino stava allungando il corpo, cercando di apparire minaccioso.
“Ehi, ragazzino, ti riferisci a questo giallo, vero?” Il negoziante sorrise a Dajh e agitò le mani.
“Sì, quello!” Dajh annuì e fece lo stesso movimento. Sembrava che stessero imitando un uccello.
“Tutti i ragazzini si riferiscono a questo quando dicono ‘quello giallo’.”, disse il negoziante, indicando il cartello che diceva “Baby Chocobo disponibili!”.
“Oh, solo un chocobo.” Era andato in panico quando aveva pensato che Dajh si riferisse al Budino, ma non aveva problemi con un cucciolo di chocobo.
“Bene allora, prendiamo uno di quelli gialli.”
La faccia di Dajh si illuminò quando sentì quelle parole. Dajh amava i chocobo. Il suo libro illustrato preferito parlava di un chocobo; aveva persino una salvietta con un chocobo stampato sopra, e l’aveva usata fino a consumarla.
“Grandioso! Per favore, entrate nel negozio.” Il negoziante provò a prendere Dajh per mano.
“No, aspetto qui!”, disse Dajh. Era orgoglioso di dover aspettare da solo mentre suo padre doveva fare qualcosa. Ora voleva aspettare da solo per tutto il tempo.
“Va bene, ma non puoi muoverti da qui, capito?”
Dajh annuì con uno sguardo birichino stampato in faccia. Ovviamente Sazh sapeva che stava pianificando qualcosa, motivo per cui gli diceva sempre di non muoversi.
Di recente Dajh non era soddisfatto di aspettare semplicemente da solo, perciò si metteva a fare un gioco. Aspettava che Sazh entrasse in un negozio, poi si nascondeva all’ombra. Quando Sazh tornava e si metteva a cercarlo, lui aspettava, tutto eccitato, finché non veniva scoperto.
Quando entrò nel negozio, il negoziante stava aprendo la gabbia. Fu allora che uno dei chocobo scappò dalla gabbia e volò dritto verso Sazh.
“Ehi, sembra che tu gli piaccia.” Sorrise e chiuse la gabbia quando vide il cucciolo di chocobo che volava intorno a Sazh.
“Davvero? Non sono in grado di dirlo.” Quando guardò in alto, i suoi occhi incontrarono quelli del piccolo chocobo. Il chocobo drizzò la testa. Proprio quando iniziava a pensare che fosse carino, i suoi occhi lampeggiarono. Un attimo dopo, il chocobo si tuffò verso Sazh
“Oh!” Il chocobo era atterrato esattamente sulla testa di Sazh.
“Ehi, non usare gli artigli in quel modo!” Il chocobo rispose pigolando.
Sazh non seppe dire se stesse dicendo “Okay!” o “Credi che me ne freghi qualcosa?”, ma ad ogni modo sembrava felice.
Una volta che ebbe finito di pagare, lasciò il negozio di corsa, con il chocobo che “cavalcava” in cima alla sua testa. Voleva subito mostrare a Dajh il chocobo.
O almeno, così aveva pensato. Ma Dajh non si trovava da nessuna parte. Be’, era sempre così.
“Ehi, Dajh? Stai giocando a nascondino?” Si atteggiò come se stesse guardandosi attorno. Ovviamente si stava semplicemente nascondendo da qualche parte nell’ombra. Presto avrebbe sentito Dajh ridere da qualche parte nelle vicinanze. I bambini non si nascondono per non essere trovati, bensì per essere presi in un grosso abbraccio.
“Ehi, a quanto pare mi sono perso. Non riesco a trovarti!”, disse, facendo finta di arrendersi. Ma ancora non sentì Dajh ridere.
“Dajh…?”
Si guardò intorno. Dall’altra parte del bancone, all’ombra di un carrello, dietro una cassetta di fiori. Ma non vedeva Dajh da nessuna parte. Forse… l’impianto energetico non era molto distante.
“Non sei andato lì dentro, vero?”
Sazh corse all’entrata della centrale. I bambini fanno la stessa cosa ripetutamente, senza stancarsi mai, ma poi improvvisamente un giorno decidono di fare qualcosa di diverso. I bambini sono bravi in questo. È così che crescono. Non lo lascerò più aspettare da solo, pensò Sazh. Dajh probabilmente aveva pensato che fosse divertente provare ad andare da qualche altra parte da solo mentre stava aspettando.
Quando fu di fronte all’entrata, per sicurezza guardò la piazza alle sue spalle. C’erano molti bambini della sua età, ma non vedeva Dajh. Doveva essere andato davvero nell’impianto da solo. Sazh iniziò a preoccuparsi.
Fu allora che accadde. Il terreno tremò come se qualcosa di enorme fosse caduto. Poteva sentire il suono del vento soffiare in lontananza. I bambini che giocavano nella piazza iniziarono tutti a piangere e a urla re.
“Dajh!” Sazh corse verso l’entrata. Era appena successo qualcosa di brutto. Ne era sicuro.
“Dajh, dove sei?”
Sentì suonare una sirena d’emergenza. Un forte rumore che si stagliò tra le urla. I turisti si stavano precipitando verso l’entrata più veloci che potessero. Sazh voleva continuare a cercare Dajh, ma la corrente di persone lo spinse con forza. Non era in grado di muovere un dito. Spinse, cercando di farsi strada tra la gente. Gli urlarono dietro e si lamentarono, ma in quel momento non aveva tempo da perdere.
Ci volle un po’, ma finalmente sentì il personale dell’impianto energetico dire ai turisti di calmarsi e uscire in modo ordinato. Probabilmente ci avevano messo così tanto perché erano stati presi di sorpresa a loro volta.
Poteva ancora udire e sentire il terreno tremare. Del fumo bianco stava alzandosi in volute, a non riusciva a capire cosa stesse succedendo all’interno. Del fuoco o un’esplosione?
“Dajh! Dove sei, Dajh?” Sazh respirò inavvertitamente il fumo, ma questo non lo fece tossire. Non era fumo, ma una specie di nebbia. Cosa stava succedendo là dentro…?
Non c’erano molte persone lungo la strada principale. Probabilmente tutti gli altri erano già scappati. Forse Dajh era stato portato via con loro? No, non gli sembrava giusto. Sentiva come se Dajh fosse da qualche parte nelle vicinanze.
“Dajh! Sono il papà! Ti prego, rispondimi!” Era proprio dinnanzi al fal’Cie Kujata. Urlò più forte. La nebbia bianca era diventata ancora più densa di prima, e poté sentire un suono forte, simile a quello di una fuga d’aria. Proseguì, stando attento a controllare dappertutto.
Poi vide il colore familiare dei vestiti di Dajh.
“Dajh!”
Dajh era disteso su una delle panchine che servivano a riposarsi. Corse lì e lo prese in braccio.
“Papi…?”
“Va bene, va tutto bene. Sei ferito?” Parlò con voce calma in modo da rassicurarlo, controllandogli le braccia e le gambe.
“Eh? Cos’è questo?”
C’era uno strano marchio che non aveva mai visto sul dorso della mano di Dajh. All’inizio pensò che fosse un adesivo, ma era qualcosa di diverso. Aveva l’aspetto di una di quelle pitture per corpo che piacevano ad alcuni ragazzini. Anche in quel caso, come avrebbe potuto…?
No, ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento dovevano andarsene, raggiungere qualche posto sicuro. Prese con sé Dajh, per portarlo via, quando sentì un rumore di passi avvicinarsi alle sue spalle.
“Ehi! State bene?”
Era un soldato delle forze di sicurezza. Fu in grado di condurli ad un luogo sicuro.
“Mio figlio, lui…”
“È ferito? Ha picchiato la testa?”
“Non lo so. Siamo stati separati, e poi…”
Probabilmente il manuale di procedura d’emergenza diceva di non ascoltare l’intera storia. Spiegarono una barella e vi misero sopra Dajh. Un soldato di sesso femminile stava in piedi vicino a Dajh, guardandolo in faccia.
“Non devi avere paura, andrà tutto bene.”
Probabilmente stava controllando se fosse cosciente o no. Raggiunse i soldati e annuì.
“Portatelo al pronto soccorso. Prego, da questa parte, signore.”
“Siamo salvi”, pensò Sazh, “andrà tutto bene”. Annuì e camminò dietro a loro.

Il pronto soccorso era affollato di turisti che si erano feriti correndo via o che comunque non si sentivano bene. Quando Dajh era sulla barella, era rimasto tranquillo, ma ora che giaceva in un letto non era più in grado di trattenersi. Dajh iniziò a muoversi in continuazione, incapace di rimanere fermo. Alzò lo sguardo verso Sazh.
“Ehi, papi…”
“Shhh.”, disse, posando una mano sulla spalla di Dajh. “Devi rimanere tranquillo fino a che il dottore non ti dà un’occhiata.”
“Ok…”, Dajh annuì tristemente. C’era un po’ d’agitazione fuori in corridoio. Avevano appena portato dentro un paziente d’emergenza? La porta del pronto soccorso si spalancò e diversi soldati fecero irruzione marciando. Si capiva che non facevano parte delle forze di sicurezza, non solo per i loro vestiti, ma anche per l’atteggiamento freddo.
“Ora siamo in stato di emergenza. Da questo momento l’impianto e l’area di Euride circostante sono sotto la supervisione degli PSICOM. Obbedirete ad ogni ordine impartito.”
Una giovane donna stava in piedi davanti ai soldati. Era bella e intelligente, ma forse sembrava tale per via degli occhiali. Il suo sguardo appariva freddo e severo.
“Attualmente tutti gli atterraggi di aeronavi alla stazione di Euride sono sospesi. Prepareremo una tenda nella piazza di fronte all’impianto energetico, affinché la possiate usare come sala d’aspetto, perciò vorremmo che andassero lì tutti quelli che sono stati visitati da un dottore. Il personale medico e chiunque non sia stato visitato andrà alla tenda di pronto soccorso. Da questo momento questo posto è da considerarsi off-limits.”
Il pronto soccorso si fece rumoroso, ma solo per un momento. Poi, su ordine della donna, i soldati separarono la gente in gruppi e li ordinarono in file, conducendoli all’esterno. Era tutto molto ordinato, pensò Sazh. Gli PSICOM sono sempre stati bravi in questo genere di cose.
Sazh e Dajh andarono alla fine della fila che portava alla tenda di pronto soccorso. Ma Sazh sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
“È questo il bambino che è collassato di fronte al fal’Cie?”
Era la donna con gli occhiali che era a capo dei soldati. Parlando con Sazh, abbassò la voce.
“Mi chiamo Jihl Nabaat e faccio parte degli PSICOM. Desidero parlare con lei riguardo a suo figlio. Per favore, venga con me.”
“E mio figlio?”
Avvicinò un dito alle labbra, indicandogli di stare in silenzio.
“So che desidera parlarne ora, ma per favore, segua i miei ordini. Mi spiegherò in dettaglio, ma qui… ci sono troppe persone.”
Le sue parole celavano un significato nascosto. Cosa stava succedendo? Cos’era successo a Dajh? C’erano così tante domande che avrebbe voluto fare, ma quella era una PSICOM. Era qualcuno che deteneva una posizione alta. L’unica cosa che poté fare Sazh fu annuire.

Capitolo 2

Fecero finta che fossimo pazienti in emergenza, portandoci via e caricandoci su un’aeronave PSICOM. A volte uno degli PSICOM dei gradi più alti passava, dicendo che dovevano “esaminarci”. Quella donna di nome Nabaat continuava a dire che era stato un “incidente fortunato” o qualcosa del genere. La specialità degli PSICOM è… beh, li chiamano la “Minaccia di Pulse”. Mi chiedevo cosa ci fosse di così fortunato nel fatto che gli PSICOM si trovassero all’impianto.
No, non me ne importava nulla, almeno finché Dajh fosse stato bene. Fino a che fosse stato al sicuro. Ma loro non mi spiegarono nulla, ci trascinarono semplicemente a Eden e ci misero nella struttura medica militare. Lei disse che ci avrebbe detto i dettagli in seguito, ma con lo staff medico che ci sorvegliava sull’aeronave non ce ne fu il tempo.
Perché dissero: “La sicurezza di tuo figlio è della massima importanza.” Io non dissi nulla.

Papà era tutto agitato, quindi mi dimenticai completamente di farti conoscere Dajh. Ma in quel frangente non eri esattamente in grado di farlo, vero? Ti nascondevi nei capelli di papà, così scioccato da non riuscire a muoverti, giusto? Quando finalmente sei volato via era notte, e io stavo andando a letto. Mi avevano messo in una stanza diversa da quella di Dajh. Ero tutto solo, perciò sobbalzai.
Naturalmente non riuscii a dormire. Non riuscivo a smettere di pensare alla frase detta dal tenente Nabaat: “Lo Stigma dei l’Cie”.

Il giorno dopo non era cambiato nulla. Sazh non sapeva ancora cosa stesse succedendo. Bloccò un membro del personale medico, ma gli dissero solo che stavano ancora indagando. Oppure che il tenente Nabaat gli avrebbe spiegato tutto in un secondo momento. Se chiedeva di lei, gli dicevano soltanto che non sapevano dove si trovasse. Pensò che probabilmente stavano nascondendo qualcosa, ma sembrava che lo staff non ne sapesse davvero niente. Loro non erano incaricati all’indagine su Dajh, ma uno dei più importanti in quel posto sì, uno specialista.
Forse si sentirono dispiaciuti per Sazh, che era fuori di testa dalla preoccupazione, perché il personale medico tentò di scoprire qualcosa circa il tenente Nabaat, ma non poté fare granché. Il tenente era fuori turno, non poteva neanche essere contattata.
“Il tenente Nabaat è una persona molto importante. Il Sanctum conta molto su di lei. Non possiamo farci niente.”
La giovane donna che aveva fatto di tutto per aiutarlo sembrava piena di rammarico. Stando a quanto disse, la Nabaat si era laureata col massimo dei voti all’interno della sua classe. In seguito, era salita velocemente fino alla posizione di tenente, e non ci sarebbe voluto molto prima che avesse raggiunto posizioni ancora più elevate.
Se in quella faccenda era stata coinvolta una persona come lei, allora ciò che era successo a Euride non era stato un semplice incidente. Sembrava che lui e Dajh fossero invischiati in una faccenda molto seria. Ne era sicuro.
“Ci metteremo in contatto con lei, così potrà ottenere una spiegazione il più presto possibile. So che è preoccupato, ma la preghiamo di attendere ancora un po’”.
“Ho capito, fate… fate solo più in fretta che potete, per favore”. Sazh la ringraziò, e ritornò nella sua stanza. Non era una camera per malati, ma un luogo predisposto per i parenti dei pazienti. Era organizzato come un albergo. Aveva perfino un computer attraverso il quale era possibile accedere ai negozi, tra le altre cose.
Quando si fermò davanti al computer, il cucciolo di chocobo volò fuori dai suoi capelli. Probabilmente era rimasto tra i capelli assicurandosi di essere al sicuro, perciò non era uscito prima.
“Gioca qui intorno quanto vuoi. Io provo ad ottenere qualche informazione.” Accese il computer ed entrò nella biblioteca. Voleva saperne di più sullo “Stigma dei l’Cie” del quale la Nabaat aveva parlato prima.
Ovviamente aveva sentito parlare dei l’Cie. È una cosa di cui aveva sentito parlare fin da quando era bambino. Ogni persona nata a Cocoon ne aveva sentito parlare in vecchie storie e fiabe. Ma quanto si avvicinavano alla realtà quelle fiabe? Non riusciva a capire in che modo avrebbero potuto c’entrare con Dajh e l’incidente a Euride. Probabilmente aveva sentito male, e forse si trattava di una parola diversa. Non proprio di “l’Cie”. In tal caso, che parola era? Voleva sapere ciò che la Nabaat aveva cercato di dire.
Pensò che la sua ricerca avrebbe portato come risultato solo titoli di libri per bambini. Ma si sbagliava. C’erano molti più libri di storia di quanti ne potesse immaginare. C’erano copie di vecchi testi, con tanto di video delle biblioteche di riferimento.
Sazh stava cercando di pensare a quale scegliere per prima, quando il piccolo chocobo arrivò volando sul pannello di controllo del computer. La schermata cambiò.
“Ehi tu, non toccare il computer! Se devi stare qui intorno a giocare, vai là in fondo!”. Fece per premere il pulsante “Annulla”, ma si avvicinò a ciò che era spuntato sullo schermo. Era l’immagine di un vecchio testo, strani simboli e scritture scolpite nella roccia.
“Che accidenti è questo?”
Riconobbe quel simbolo. In effetti, lo aveva visto meno di ventiquattro ore prima. Era il marchio che aveva visto sul dorso della mano di Dajh. Sazh lesse il testo che accompagnava l’immagine, e impallidì.
Lo “Stigma dei l’Cie” di cui parlava quella Nabaat… allora non aveva frainteso nulla.

Capitolo 3

Fino ad ora non avevo mai capito veramente il significato della frase “tutto divenne nero”. Ma è vero. Non si tratta di vedere nero, ma di non essere in grado di vedere nulla. Non importa cosa guardi, semplicemente non riesci a cogliere nulla.
Mi ricordo di aver avuto accesso alle informazioni di qualche gruppo di ricerca universitario, oppure un qualche gruppo di esperti o qualcosa del genere. Ma non ricordo cosa diceva. Mi ricordo di averlo letto, ne sono sicuro. Penso che dicesse qualcosa riguardo i “l’Cie del Sanctum” o qualcosa di simile.
Ma nessuna di quelle informazioni mi forniva ciò che volevo sapere, ciò che volevo sentire. Sai cosa vuole sentirsi dire papà, vero? Solo una cosa. Una semplice cosa. Che suo figlio starà bene.
Non so perché ho pensato che il tenente Nabaat sarebbe stata in grado di dirmelo. Ero in panico. Ogni cosa nuova che leggevo era semplicemente incredibile. Non volevo crederci. Pensavo che un soldato come lei, che si era diplomata col massimo dei voti, fosse in grado di darmi un’opinione diversa. Mi tenevo aggrappato a quel pensiero come ad un salvagente.
Fu solo alcuni giorni dopo che finalmente riuscii a vederla. Tre giorni dopo l’incidente…

“Mi dispiace di averla fatta aspettare per tre giorni.” La Nabaat chinò la testa profondamente. “Sono sicura che è stato molto preoccupato.” La sua espressione era addolorata.
Si trovavano in una stanza di osservazione medica, a guardare un monitor sulla parete. Il monitor mostrava Dajh giocare con quello che sembrava essere un puzzle. Dissero che quella era una delle cose che stavano utilizzando nella loro indagine. Sazh non aveva ancora il permesso di visitarlo, ma la Nabaat aveva preparato quella stanza con monitor appositamente per lui, affinché potesse almeno vedere che suo figlio stava bene.
“Va be’, non mi interessa. Ma Dajh, mio figlio…” Lasciate che lo porti a casa, avrebbe voluto dire Sazh, ma non lo fece. Guardò Dajh sul monitor, mentre batteva le mani felice. Il simbolo era lì, proprio lì sul dorso della sua mano. Non posso ancora chiederlo, pensò, dobbiamo fare qualcosa riguardo a quel simbolo innanzitutto. Prima che torniamo a casa.
“Probabilmente se ne è già reso conto, ma…”
Sembrava che ciò che stava per dire la Nabaat fosse qualcosa difficile. Lei respirò, e disse ciò che voleva dire.
“Suo figlio è stato scelto per essere un l’Cie. Dal fal’Cie Kujata.”
Nei tre giorni precedenti, Sazh aveva cercato e studiato riguardo i l’Cie, usando tutto il tempo che aveva a disposizione. Ma ciò gli aveva solo fatto perdere la speranza. La Nabaat era l’unico barlume che gli era rimasto. Era sicuro che lei avrebbe detto “Ha frainteso tutto. Non esiste la possibilità che suo figlio possa essere un fal’Cie.”, scacciando via tutte le sue paure.
Ma nel sentire le sue parole, cadde nella disperazione. Non si accorse nemmeno che stava urlando.
“Come può mettersi a scherzare su una cosa simile? I l’Cie non sono nient’altro che una vecchia storia…”
“Capisco come si sente.” La Nabaat chiuse gli occhi tristemente. Sazh era senza parole. Se le avesse detto “Non capisce niente!” o “Non mi compatisca!” non sarebbe cambiato nulla. Non importava cosa dicesse, niente sarebbe cambiato. Invece, spinse quei sentimenti nel profondo del suo cuore.
Non capisco. Per niente. Sazh ferrò i pugni pieno di frustrazione.
“Anche noi siamo rimasti sorpresi.”, continuò lei con calma.
“Stando ai documenti, è da centinaia di anni che non viene scelto un l’Cie. Dalla Guerra dell’Oblio.”
“Allora perché? Perché è successo a Dajh?”
Perché Dajh? C’erano altri bambini nello stesso luogo, un sacco di bambini. Bambini della stessa età di Dajh. No, doveva essere un bambino? C’erano adulti laggiù. Non sarebbe importato se invece avessero scelto uno di loro. Quindi perché, perché è stato scelto Dajh?
“Ad essere sincera, non lo sappiamo. Riusciamo solo a pensare che lui sia stato giudicato come la scelta migliore da parte del fal’Cie.”
“Un bambino di sei anni? È ridicolo!”
“Signor Katzroy…” Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma volse gli occhi da un’altra parte senza dire nulla. Sa qualcosa, pensò Sazh. Mi sta ancora nascondendo qualcosa.
“Cosa faranno… gli PSICOM e il Sanctum, con Dajh?” La Nabaat aveva detto sull’aeronave che la sicurezza di Dajh era importante. Ma Sazh sapeva che l’esercito non avrebbe mai fatto tanti sforzi per un bambino, per di più un civile.
“Se manterrai quel che ti sto per dire come un segreto…”
Bingo, pensò Sazh. La Nabaat lo fissò dritto negli occhi.
“Un grande pericolo sta minacciando Cocoon. Abbiamo osservato Pulse e sappiamo che è in atto un’invasione.”
“Eh?”
Cosa intendeva dire con “un’invasione”? Da Pulse? Era una cosa troppo grande, non riusciva a capire cosa intendesse dire.
“Il Sanctum si sta trattenendo dal fare annunci pubblici al riguardo, ma quel che è successo all’impianto non è stato un incidente. È stato il risultato del lavoro di nemici provenienti da Pulse.”
Quella nebbiolina bianca, il terreno tremante… il Sanctum ne aveva parlato come di un incidente, niente di più. Ma si era trattato di un qualcosa di programmato, qualcosa proveniente da Pulse.
“Il motivo per cui c’è stata così poca distruzione è stato Dajh. Lui è stato scelto dal fal’Cie per essere un l’Cie.”
“Impossibile. Com’è possibile che un bambino di sei anni faccia qualcosa?”
Era incredibile. Come poteva un bambino di sei anni fare qualcosa contro dei nemici provenienti da Pulse?”
“È la verità.”, disse Nabaat, tagliando corto.
“Ma i nemici sono fuggiti, sono ancora in libertà. Non sappiamo quando né dove ci sarà un altro attacco. Ecco perché le stiamo chiedendo di cooperare.”
“Cooperare?”
Ancora non riusciva a pensare a quella cosa se non come ad un orribile scherzo. Cooperare? Facendo cosa?
“Dajh è stato scelto. Lui è la chiave per salvare Cocoon. Potrebbe non essere a conoscenza del suo potere, ma il Sanctum gli sarà di supporto. Lui fronteggerà l’invasione proveniente da Pulse. Quindi la prego, signor Katzroy, per favore, ci aiuti.”
“Non so come rispondere. È semplicemente… troppo.”
Voleva sentire una spiegazione più concreta. Non capiva niente di tutto ciò. Non gli importava di questa invasione proveniente da Pulse. Voleva solo sapere quando avrebbe potuto portare Dajh a casa.
…C’era una qualche possibilità per loro di ritornare a una vita normale?
“Sì, sì, capisco.”, la Nabaat annuì diverse volte. Non sembrava un soldato, ma un’insegnante che parlava con un bambino piccolo.
“Non le stiamo chiedendo di fare niente di speciale. Vorremmo solo che lo sorvegliasse.”
Probabilmente in questo momento sembro un bambino imbronciato, pensò Sazh.
“Non sappiamo quale missione né quali poteri siano stati assegnati a Dajh. Stiamo cercando di scoprirlo il prima possibile, ecco su cosa stiamo indagando ora. Sfortunatamente non possiamo ancora permetterle di fargli visita, ma capisco che lei sia preoccupato. Perciò la prego…”
“Missione? Oh, certo. Se un l’Cie non completa la propria missione, si trasforma in un Cie’th. Ecco cosa stava dicendo. In quel momento la cosa più importante era scoprire quale fosse la sua “missione” Capì. La sua testa capì, ma il suo cuore…
“Vedrò se potrà vederlo domani. Oggi dovremo fare più test che possiamo. Quindi per favore, aspetti solo un altro giorno.”
Sazh non fu in grado di dire nient’altro.

Capitolo 4

Non aveva mentito quando aveva detto “domani”. Era sera, ma finalmente mi fu dato il permesso di vedere Dajh. Ti lasciai nella stanza perché ero preoccupato che se fossi venuto Dajh non sarebbe stato in grado di capire quale fosse il suo Focus.
Non essere arrabbiato! Papà vuole davvero che voi due vi conosciate. Ma il tenente aveva ragione riguardo ai bambini. Quando qualcos’altro attira la loro attenzione, si dimenticano di tutto il resto. All’epoca non capivo veramente cosa intendessero dire con “missione”. Proprio no. Ma ero in panico. Non solo in quel frangente, ma per tutto il tempo. Ero così… preoccupato.
Cosa può comprendere un bambino di sei anni? Riuscirebbe a capire?
È tutto ciò a cui riuscivo a pensare…

Quando chiamarono dentro Sazh, fu in una stanza diversa da quella in cui era stato il giorno prima. Al posto di un monitor, c’era un’enorme finestra. Si riusciva a vedere perfettamente la stanza accanto. Ma dall’altro lato non era possibile vedere ciò che c’era nella stanza in cui era Sazh. Probabilmente la usavano per monitorare i loro soggetti.
“Per prima cosa, vuole vederlo? O preferisce che le dica quel che abbiamo scoperto?”
“Quel che avete scoperto… per favore.”
Voleva vedere Dajh con tutto il suo cuore, ma era preoccupato riguardo i risultati dei test. Se ci avesse pensato in presenza di Dajh, avrebbe fatto preoccupare suo figlio. Pensò che sarebbe stato meglio saperlo prima.
Nella stanza adiacente c’era un ufficiale che stava giocando con Dajh. L’uomo probabilmente aveva poco più di trent’anni. I suoi capelli argentati e la cicatrice sulla fronte potevano apparire spaventosi agli occhi di un bambino, ma Dajh sembrava a suo agio con l’uomo. Probabilmente gli piacevano i bambini: lo potevi dire vedendo come giocava con Dajh, nonostante il suo viso fosse torvo. Oppure faceva molto seriamente il suo dovere.
“Dajh è un bravo bambino. Non è per nulla timido e ascolta gli altri.” Guardando attraverso il vetro, la Nabaat sorrise.
“Be’, sua madre morì quando era molto piccolo. È dovuto andare con molti baby-sitter e assistenti sociali, perciò è abituato a giocare con altri adulti. Ecco perché sono passato dai viaggi di lunga distanza a quelli locali: per essere più presente come padre.”
Prima che sua moglie morisse tre anni prima, si dedicava completamente al suo lavoro. Il suo sogno era stato quello di diventare un pilota, e finalmente era stato assunto come pilota per percorsi di lunga distanza. Tutto sembrava perfetto.
Quando, per suo figlio, era passato a diventare un pilota per viaggi locali, tutti erano rimasti sorpresi. Perfino Sazh aveva pensato che fosse strano. Aveva lavorato così duramente per arrivare dov’era arrivato, e improvvisamente aveva mollato in quel modo. Ma non sentiva di aver sbagliato. Si era reso conto per la prima volta cosa significasse passare del tempo con il proprio figlio. Era divertente e gli scaldava il cuore.
Non voleva che Dajh rimanesse solo, non ora che non aveva più sua madre. Nei tre anni precedenti aveva lavorato e si era preso cura di lui meglio che potesse. Ma, in realtà, era Dajh che aveva salvato Sazh. I suoi sorrisi e le sue risate erano diventati motivi per cui vivere.
“Cosa avete trovato? Potete curarlo da questa… cosa dei l’Cie?” Non voglio perdere il sorriso di Dajh, pensò Sazh. Ma gli occhi della Nabaat si fecero tristi.
“Con la tecnologia umana… Mi dispiace, ma è semplicemente impossibile.”
“No…”, disse Sazh, con voce debole e lontana. Se Dajh non completa la sua missione, diventerà un Cie’th. Un mostro. Se lo completa diventerà un cristallo. Quei vecchi testi dicevano: “I l’Cie che hanno completato la loro missione saranno trasformati in cristalli e ammessi all’eternità.” Ma per gli umani una cosa del genere equivale alla morte.
Sazh guardò dall’altra parte della vetrata. L’ufficiale stava portando Dajh sulle spalle. Dajh stava ridendo e batteva le mani estasiato. Il suo sorriso era lo stesso di sempre, nonostante ora fosse un “l’Cie”. Solo per via di uno scarabocchio sulla sua mano, non sarebbe più stato in grado di condurre una vita normale…
“E se gli tiraste via quel marchio? Se esistesse una procedura di trapianto della pelle, e foste in grado di rimuoverlo?”
Perfino nel caso peggiore, se avessero dovuto tagliargli via tutta la mano, sarebbe comunque stato meglio che diventare un mostro o un cristallo. Anche se non avesse più potuto usare la sua mano, avrebbe comunque avuto la possibilità di vivere una vita felice.
“Non possiamo. Non sappiamo cosa succederebbe a Dajh. Ci sono così tante cose che non sappiamo dei l’Cie… no, direi che non sappiamo proprio un bel niente.”
“Ma…”
“Mi rincresce che non ci sia nulla che possiamo fare. Ma al momento dobbiamo pensare a scoprire i poteri e la missione di Dajh. Estirpargli lo Stigma sarebbe solo l’ultima risorsa. Non possiamo essere affrettati.”
Era facile a dirsi, ma non sapevano quanto tempo rimanesse. Non potevano dire se la scadenza per completare la missione fosse il giorno dopo o due giorni dopo. Poteva anche collocarsi a un anno o due di distanza…
“Ci sono stati degli sviluppi, tuttavia.”
“Sviluppi? Di cosa sta parlando?”
“Be’, è ancora un’ipotesi”, la Nabaat iniziò a spiegare. “Sembra che Dajh abbia il potere di percepire coloro che provengono da Pulse. Probabilmente sarà in grado di dirci dove sono i l’Cie che hanno attaccato Euride, insieme al fal’Cie che li controlla.”
Il barlume di speranza che aveva ripiombò nella disperazione. Poteva dire dove si trovano quelle persone di Pulse. Ma a cosa sarebbe servito? Non capiva nulla di tutto ciò. Si rese conto della differenza tra se stesso a gli PSICOM. Per coloro che stavano proteggendo Cocoon da Pulse, un’abilità del genere veniva vista come uno “sviluppo”. Erano tali e quali ai fal’Cie. Volevano solo usare Dajh per i loro scopi.
Non sapeva esattamente cosa si aspettasse dagli PSICOM, dal Sanctum. Non poteva dipendere dalla Nabaat o da nessun altro degli PSICOM. L’unico che avrebbe fatto qualcosa per Dajh era lui stesso.
“Vi prego… lasciatemi vedere Dajh. Fatemi vedere mio figlio.”
“Certo. Da questa parte, prego.” La Nabaat stava in piedi, sorridente. Non sapeva se fosse per il fatto che i suoi sentimenti erano cambiati, ma percepì qualcosa di freddo dietro il suo sorriso.
“Dajh è molto eccitato di sapere che sta arrivando.”
Cosa stava cercando di fargli fare? Non riusciva a fidarsi di lei.
“Papi!”
Dajh irruppe nella stanza non appena la porta si aprì.
“Dajh!”
Dajh gli saltò in braccio, Sazh lo prese e lo tenne stretto a sé. Si sentì come si sentiva sempre. Quando lo sentì tra le proprie braccia, si rese conto del dolore che avrebbe provato se Dajh non fosse più esistito. Non voleva perdere quella sensazione, quel calore. Lo avrebbe protetto in qualunque modo.
“Ehi, papi…”
Asciugandosi velocemente le lacrime dagli occhi, mise giù Dajh.
“Che c’è?” Si inginocchiò e guardò Dajh in faccia.
“Voglio vedere i fuochi d’artificio! Belli grandi!”
“Fuochi d’artificio?”
“Sì, belli grandi. Tanti, nel cielo! Così…”, disse Dajh, disegnando in aria un grosso cerchio con le mani.
“Be’, devono ancora farti dei test, quindi magari non adesso…”
“No! Fuochi d’artificio! Grandi fuochi d’artificio!”
Voleva dare a Dajh tutto ciò che desiderava. Ma non credeva che gli PSICOM gliel’avrebberp permesso. Ora che sapevano che aveva il potere di percepire le cose di Pulse, avrebbero continuato a fargli dei test fino a scoprire la sua missione.
“Be’, perché non li andiamo a vedere dopo i test?”
“No! I fuochi d’artificio non ci saranno più!”
Dajh era più insistente del solito. Di norma, anche se all’inizio chiedeva ciò che voleva, alla fine rinunciava e faceva ciò che gli veniva detto. Faceva desiderare ancora di più Sazh di potergli dare ciò che voleva.
“Ma in questo momento ci sono i test…” Guardò la Nabaat. Dajh era un bravo bambino, se gli fosse stato spiegato che i test erano importanti, allora avrebbe capito. Sarebbe stato triste, ma avrebbe obbedito. Ma la Nabaat disse qualcosa di completamente inaspettato.
“Quando dici che non ci saranno più, ti riferisci al festival dei fuochi d’artificio?”
Esatto, ci sarebbe stato quel festival dei fuochi d’artificio a Bodhum, a distanza di due giorni da allora. Si chiese se Dajh avesse notato i poster che erano appesi a Bodhum quando erano passati di lì lungo il tragitto per andare a vedere il fal’Cie.
“Perché vuoi andarci? Ti piacciono i fuochi d’artificio?”
Dajh guardò in alto, come per cercare la risposta e serrò le labbra.
“Cosa c’è che non va, Dajh?”
“…Sono lì.”, sussurrò, aggrappandosi a Sazh.
“Cosa c’è lì?”
Premette il naso contro la spalla di Sazh e scosse la testa.
“Okay, Dajh. Andremo a vedere i fuochi d’artificio tutti insieme.”, disse la Nabaat, strofinando la schiena di Dajh. Diceva sul serio?
“Tenente, è sicura che dovremmo…”
“Credo che valga la pena controllare.” Si sistemò gli occhiali con la punta del dito e annuì guardando l’ufficiale.
“Non abbiamo mai sentito Dajh dire una cosa del genere prima. È possibile che, se il suo potere di percepire quelli di Pulse sta funzionando, ci possa essere qualcosa al festival dei fuochi d’artificio di Bodhum.”
Ovviamente, trattare gli altri e trattare la propria famiglia sono due cose distinte. Sazh rimase in silenzio. Potevano volere che completasse la sua missione il prima possibile, ma Sazh voleva semplicemente portarlo al festival dei fuochi d’artificio. Non voleva che facessero altri test su Dajh.

Capitolo 5

Stavamo andando a vedere i fuochi d’artificio. Dajh era così felice, correva e saltava per la stanza, gridando, urlando. Probabilmente per il fatto che era stufo di tutti i test ai quali era stato sottoposto. Nonostante quell’agente PSICOM e quegli psicologi specializzati in bambini avessero giocato con lui, si sentiva comunque come un uccello chiuso in gabbia.
Gli avevano fatto un test dietro l’altro, ma ancora non erano riusciti a scoprire la sua missione. L’unica cosa che sapevano era che lui poteva percepire l’esistenza di cose provenienti da Pulse. No, pensavo addirittura che non fosse vero. Pensavo che probabilmente mi stessero dicendo bugie, solo perché gli PSICOM non stavano ottenendo i risultati sperati.
Non credei a nulla finché non ci trovammo a viaggiare sull’aeronave diretta a Bodhum. Ah già, anche tu eri sull’aeronave. Ti ricordi com’era Dajh quando ti ha visto per la prima volta? È passato tanto tempo dall’ultima volta che l’ho visto sorridere in quel modo…

Sazh osservava Dajh correre su e giù lungo i corridoi dell’aeronave, mentre i suoi pensieri erano in tumulto. Il cucciolo di chocobo lo stava rincorrendo. Quando i due ragazzi… no, quando il ragazzo e il volatile si erano incontrati la prima volta, erano diventati immediatamente amici. La cabina era in trambusto con quei due che correvano da una parte all’altra.
Be’, dal momento che non c’erano altri passeggeri, Sazh lasciò che facessero ciò che volevano. Quando pensò al modo in cui Dajh era rimasto chiuso in quella stanza per così tanto, sentì che aveva il diritto di correre in giro e divertirsi come stava facendo. Non poteva dirgli di no. Sembrava che anche alla Nabaat la cosa non desse fastidio. Anzi, fece fare ad uno dei suoi subalterni una registrazione di Dajh che giocava col chocobo. Forse serviva per un altro test.
“Papi, ho sete.”, disse Dajh, correndo nella direzione in cui era seduto Sazh. Probabilmente era stanco di tutte quelle corse. Ovviamente, il baby chocobo era esattamente dietro di lui e usò la testa di Sazh come piattaforma di atterraggio. Sazh aprì una lattina di succo e Dajh la bevve in un unico lungo sor so. Con tutto quel correre e urlare, non c’era da stupirsi che avesse così sete.
“Ah già, dobbiamo dare un nome a questo tipetto, non è vero?”
Quando si erano incontrati per la prima volta, il piccolo volatile aveva iniziato subito a rincorrerlo. Non c’era stato il tempo per pensare a dei nomi.
“Uhmmm… un nome forte! Come di una persona della TV!”
Si riferiva ad un programma per bambini di cui Dajh non si perdeva manco una puntata. Il protagonista era un cucciolo di chocobo, che era un eroe della giustizia. I baby chocobo erano molto popolari proprio a causa di quel programma.
“Ma ehi, se fosse una femmina? Cosa faresti, allora?”
Dicono che nemmeno gli esperti siano in grado di determinare il sesso di un chocobo. I chocobo sono creature piuttosto misteriose. Riescono a comprendere la lingua parlata dagli umani e hanno un forte senso dell’orientamento. È più o meno ciò che sanno tutti.
“Okay, allora un nome forte e carino!”
“Be’, è un’impresa difficile. Ma hai abbastanza tempo per pensarci su. Non scapperà da nessuna parte.”
Tuttavia il problema era quanto tempo rimanesse esattamente a Dajh. Sazh sprofondò nella depressione. Quale tipo di Focus poteva avere un bambino di sei anni? Uno in grado soltanto di saltare, giocare e urlare?
“Papi, papi, cos’è quello?!”, disse Dajh, indicando fuori dal finestrino.
“Uhm? Fammi vedere. Oh, quelle. Sono le rovine di Bodhum. Tra poco arriveremo lì.”
Dajh premette la fronte contro il finestrino e si mise a fissare le rovine. Sazh pensò che doveva aver già visto le rovine dal treno diretto a Euride, ma forse vederle dall’alto dava un’impressione diversa rispetto al vederle dal basso.
“Voglio entrarci.”
“Dentro le rovine? Purtroppo non si può. Non ci sono porte. Non si sa nemmeno se esiste un interno. È solo una cosa strana proveniente da Pulse…” Allora Sazh si ricordò. Una strana cosa proveniente da Pulse? Cos’è che aveva detto la Nabaat? Non aveva detto che Dajh era in grado di percepire le cose provenienti da Pulse?
“È dentro.”
“Dajh… tu…”
Aveva paura di dire di più.
“Dajh, c’è qualcosa là dentro?”
Improvvisamente la Nabaat apparve dietro di loro. Doveva averli ascoltati.
“Io… non lo so. Ma è lì.”
“Capisco. Non sai cosa sia, ma sai che c’è qualcosa là dentro?”
Guardando fuori dal finestrino, Dajh fece cenno di sì con la testa.
“Grazie. Sei proprio un bravo bambino.”, disse, dandogli dei colpetti sulla testa. Guardò verso Sazh come per dire “questo è il potere di tuo figlio”.
Ma lui ancora non riusciva a crederci. Quelle rovine apparivano strane. Dajh era interessato ad essere solo per quel motivo; voleva semplicemente provare ad entrarci.
“Predisporremo una squadra di investigazione e cercheremo all’interno di quelle rovine. Esiste la possibilità che là dentro ci sia qualcosa proveniente da Pulse…”
“Sta scherzando? Non è assolutamente possibile!” Sazh urlò senza accorgersene. Dajh saltò e si mise a guardarlo. Sazh allora si calmò.
“Non preoccuparti, il tuo papi era solo un po’ sorpreso. Scusami se ho urlato, non volevo spaventarti in quel modo.”
Prese Dajh e se lo mise sul grembo. Non voleva che guardasse più fuori dal finestrino.

Non volevo credere che lui potesse veramente percepire le cose provenienti da Pulse. Credo che da qualche parte, nel profondo, io pensi ancora che si siano sbagliati. Non è possibile che Dajh possa essere un l’Cie. Perciò quando ho visto Dajh guardare verso quelle rovine in quel modo, non ho potuto sopportarlo.
Volevo continuare a credere che Dajh volesse semplicemente vedere il festival dei fuochi d’artificio, che non aveva niente a che fare con Pulse. Ero sicuro che ne avesse sentito parlare da persone sul treno che andava da Bodhum a Euride. Nonostante non gli avessi detto nulla al riguardo, Dajh sapeva della credenza secondo la quale i fuochi d’artificio di Bodhum esaudivano i desideri.
Ehi, ti ricordi quale desiderio ha espresso Dajh? Ha detto: “Spero che il papà sia di nuovo felice.”. Dopo questa cosa, sapevo che non potevo continuare ad apparire così triste, perché stavo facendo preoccupare persino lui. Perciò ho deciso che non sarei più apparso triste o preoccupato di fronte a Dajh. Be’, ho fatto del mio meglio, no? Perfino dopo le parole del tenente…

Era chiaro come a mezzogiorno. Si avvicinava la fine del festival dei fuochi d’artificio, e ne erano già stati sparati in cielo molti.
Probabilmente tutti avevano già finito di esprimere i loro desideri. Avevano guardato tutti verso il cielo, esclamando i loro “ooh” e “aah”. Dajh teneva la mano di Sazh. Saltava su e giù, ridendo e sorridendo.
“Allora, tenente Nabaat? Com’è andata?”
Sia Sazh che la Nabaat erano le uniche due persone che guardavano in una direzione completamente diversa da quella in cui guardavano le persone attorno a loro. La Nabaat era rimasta sull’aeronave, in attesa del resoconto della squadra di investigazione. Se ora si trovava lì, voleva dire che…
“Ho ricevuto una comunicazione dalla squadra di investigazione.”, disse la Nabaat a bassa voce. Sazh trattenne il fiato e aspettò che continuasse.
“C’è un fal’Cie di Pulse all’interno delle rovine.”
Tutti i suoni scomparvero dal mondo. Il fragore dei fuochi d’artificio, l’esultanza della gente, tutto quanto era sparito. L’unica cosa rimasta era la voce della Nabaat.
“È molto imbarazzante. Quelle rovine sono state lì per centinaia di anni, ma il Sanctum non è stato in grado di fare nulla. Dobbiamo ringraziare tanto Dajh.”
Dajh non era nemmeno conscio del fatto che la Nabaat stesse parlando di lui. Le sue mani erano alzate al cielo e saltava, come se pensasse di poter toccare i fuochi d’artificio.
“Intendo dire, ha detto improvvisamente di voler andare a Bodhum e che c’era qualcosa lì. Ma chi avrebbe pensato che…”
Chi avrebbe pensato che ci fosse un fal’Cie di Pulse a Bodhum? All’interno di rovine senza entrata né uscita.
“Ora lo sappiamo per certo. Dajh può percepire le cose provenienti da Pulse.”
“Non importa, qual è la sua missione? Si tratta solo di percepirle e trovarle?”
L’espressione della Nabaat si fece oscura. “Non siamo ancora sicuri che si tratti di questo.”
“Ma perché no? Voglio dire, l’ha trovato per voi, non è così? Perché non dovrebbe trattarsi di questo?”
“Mi dispiace. Ci sono tante cose che non sappiamo. Ma sento che non si tratta di una cosa semplice come il fatto di trovare il fal’Cie di Pulse…” Tagliò corto. Sembrava che non volesse dire di più. Se la sua missione fosse stata quella di trovare il fal’Cie di Pulse, ora che era stato trovato nelle rovine, Dajh si sarebbe già dovuto trasformare in un cristallo. Il che voleva dire che trovando il fal’Cie non aveva completato la sua missione.
Doveva anche trovare tutti i l’Cie che si stavano nascondendo? O forse non doveva semplicemente trovarli, ma anche sconfiggerli. In ogni caso, si trattava di pretendere troppo da un bambino di sei anni.
“Papi. Ehi, papi!”, Dajh gli stava tirando il braccio.
“Oh, scusa. Cosa c’è?”
“Andiamo al Nautilus Park!”
Sazh e la Nabaat si guardarono. Il Nautilus Park era un parco a tema gestito dal Sanctum. Il parco era al centro della città di Nautilus. Dajh aveva percepito altre cose provenienti da Pulse? Probabilmente erano i l’Cie di Pulse.
“C’è… qualcosa laggiù?”
Riuscì a malapena ad impedire alla sua voce di tremare. Se c’erano l’Cie di Pulse nel Nautilus Park, allora questa volta Dajh si sarebbe trasformato in un cristallo.
“Sì! Ci sono un sacco di chocobo! E altre cose soffici!”
Sazh si sentì sollevato. Dajh voleva solo vedere chocobo e pecore. Ah già, avevano parlato di Nautilus sul treno per Ewleede. Probabilmente se n’era ricordato.
“Sembra che non abbia niente a che fare con Pulse”.
Sazh annuì delicatamente.
“Portami, portami!”
Stava per dirgli che ci sarebbero andati più tardi, ma la Nabaat intervenne. Pensò che fosse delusa dal fatto che le sue aspettative non erano soddisfatte, ma la sua espressione era gentile.
“Per favore, dimmi se ci sono altri posti dove vuoi andare, d’accordo?”
Oh, ma certo. Anche se questa non è la volta buona, c’è sempre quella dopo. Probabilmente era a questo che stava pensando. Oppure forse stava semplicemente pensando che un bambino che porta il fardello di un l’Cie meritasse di divertirsi un po’, e voleva accontentarlo. No, non lei. Senza dubbio, non lei.
“Ti porterò dovunque tu voglia andare.”
“Nautilus Park!”
“Okay, okay. Allora la prossima volta ci andremo tutti insieme. Promesso.”
“Okay!”
Chiunque li avesse visti, avrebbe pensato che si trattasse di una scena dolce. Chiunque non avesse conosciuto la verità. Sazh distolse lo sguardo e vide un viso familiare. Quel soldato dai capelli argentati. Come si chiamava? Colonnello Rosch, credeva.
“Tenente Nabaat.” La sua voce era dura. Sazh ebbe una brutta sensazione.
La Nabaat si alzò in piedi. Pensando che Rosch fosse lì per giocare ancora con lui, la faccia di Dajh si illuminò. Sazh lo prese e lo tenne stretto. Ciò di cui stavano per parlare probabilmente era qualcosa che un bambino non avrebbe dovuto sentire.
“La decisione è stata presa.”
Sazh li ascoltò parlare, girò la schiena e portò Dajh via da lì.

Capitolo 6

La “decisione” della quale aveva parlato il colonnello Rosch riguardava la messa in quarantena di tutta Bodhum e dei suoi cittadini. Arrivarono il giorno dopo il festival dei fuochi d’artificio. Gli PSICOM lavorano alla svelta. Ma la cosa che fecero più velocemente fu installare dei blocchi attorno ai Resti di Bodhum. Però questo lo seppi solo più tardi.
Sembra che la squadra di investigazione che fu spedita nelle rovine non vi abbia mai fatto ritorno. Neanche una persona. Dopo che la squadra ebbe spedito una trasmissione radio per informare gli altri riguardo il fal’Cie, di loro fu perso ogni contatto. Anziché mandare una squadra di soccorso, gli PSICOM impedirono l’accesso ai Resti, nonostante quelle persone potessero essere ancora vive là dentro, da qualche parte.
Be’, i soldati potrebbero essere in grado di accettare tutto, ma i civili no. Credi che lo accetterebbero? No, ovviamente no. Io la pensavo allo stesso modo. Nessuna spiegazione, solo l’ordine di non lasciare la città. Chi è che se ne starebbe seduto accettando una cosa simile?
Specialmente quel giorno, quando non c’erano solo i cittadini di Bodhum. C’erano turisti provenienti da tutta Cocoon. Il giorno successivo al festival dei fuochi d’artificio fu veramente assurdo…

Dopo che il festival finì, alloggiarono nella guarnigione del Reggimento di Sicurezza. Originariamente sarebbero dovuti tornare al centro medico di Eden nel corso della notte, ma quando Dajh disse “Ce ne stiamo già andando?”, essi cambiarono idea. Pensarono che forse stava percependo qualcosa di Pulse e volesse rimanere.
Il personale investigativo che stava eseguendo test su Dajh era venuto al festival insieme al Reggimento di Sicurezza, ma non fu in grado di continuare i test all’interno della guarnigione.
Dividerli in stanze diverse la prima volta doveva essere sembrata una cosa strana, perciò finalmente ebbero il permesso di passare del tempo insieme.
La Nabaat aveva già chiesto che continuassero a monitorare Dajh. Disse che qualsiasi piccola cosa avesse detto sarebbe potuta essere un indizio importante. Sazh non poteva opporsi. Be’, anche se l’avesse fatto, avrebbero installato una telecamera nascosta, o predisposto dei registratori. Sarebbero stati controllati in ogni caso. Sazh lo sapeva molto bene. Ad ogni modo, Dajh era felice. Saltò sul letto con il cucciolo di chocobo accanto, e corse per la stanza fino al calare della notte.
Sazh pensò che Dajh avrebbe dormito più a lungo il giorno successivo, ma si svegliò alla stessa ora di sempre, col viso assonnato. Mangiò la sua colazione velocemente, e quando vide il chocobino che giocava per la stanza, tutto ciò che volle fare fu giocare con lui, dimenticando completamente la stanchezza.
Probabilmente Dajh aveva voluto andare a Bodhum per scappare da tutti quei test. Al momento non sembrava percepire alcun collegamento con Pulse o con cose provenienti da lì. Non appariva affatto come quando aveva detto per la prima volta di voler andare a vedere i fuochi d’artificio.
“Papi, voglio vedere la TV!”
“Cosa? Ah, giusto, è l’ora…”
Era solo un programma per bambini della durata di quindici minuti, ma Dajh lo guardava sempre prima di andare all’asilo. Dajh lo guardava mentre Sazh si vestiva; una volta che era finito, Dajh spegneva la TV e i due varcavano la soglia di casa insieme.
Sazh aveva pensato che, fino a quando Dajh non fosse diventato troppo grande per guardare programmi per bambini, avrebbero continuato con quel rituale ogni giorno. Una volta che finiva di lavorare, andava all’asilo a prendere Dajh, e sulla via di casa parlavano di cosa mangiare per cena, per poi fermarsi a comprare il necessario al supermercato…
Ciò che fino ad allora era stata una cosa normalissima, ora appariva come un miracolo. Ma quel miracolo se n’era andato, sparito del tutto.
“Papi, la TV è strana!”, disse Dajh tristemente. Sazh alzò gli occhi, ricordandosi di dove fosse.
“Tutti i canali sono uguali.”
“Questa è… la stazione di Bodhum.”
La TV mostrava soldati nella stazione di Bodhum, che era stata sbarrata. Dal video iniziò a sentirsi la voce di una telecronista.
“La notte scorsa è stato trovato un fal’Cie proveniente da Pulse nelle rovine intorno all’area di Bodhum. Il Sanctum ha preso la decisione di mettere al sicuro la città di Bodhum e le aree circostanti.”
L’immagine cambiò e apparve un video delle forze aeronavali che sorvolavano la stazione. Sazh corse alla finestra. Riusciva a vedere le rapidissime navi militari che decollavano, mentre i soldati a terra correvano qua e là. Il cielo nella direzione della stazione era pieno di navi militari. Il reportage continuò.
“Il Sanctum ha rivelato che l’incidente accaduto all’impianto energetico della Gola di Euride è stato, di fatto, un atto di distruzione causato dai l’Cie di Pulse.”
Nel sentire la parola “Pulse”, si girò. C’erano persone che si precipitavano verso la stazione, e i soldati le spingevano indietro. Probabilmente si trattava di turisti. “Non abitiamo nemmeno qui”, stavano probabilmente dicendo, “Siamo qui per caso. Perché ci sta succedendo questo?”.
Sazh riusciva a comprendere la loro confusione. L’aveva provata lui stesso, sette giorni prima.
“Dopo la recente catena di eventi, l’ansia delle persone in questa città sta salendo. Alcune voci dicono che devono essere adottate misure più forti di una semplice quarantena.”
Non voleva sentire una parola di più. Non voleva vedere altre persone che avevano dipinta in faccia la sua stessa espressione di disperazione. Sazh spense la TV.
“Niente TV per oggi. La guarderai domani. Guarda, vuole giocare con te.”
Il cucciolo di chocobo volò fuori dalla capigliatura di Sazh. Dajh rise e iniziò a correre per la stanza insieme al chocobo. Probabilmente si era già dimenticato del programma per bambini che desiderava vedere.
Si sentì bussare alla porta, come se qualcuno stesse aspettando solo quel momento. Probabilmente erano rimasti ad aspettare. Dopotutto, quella stanza era monitorata. Quando aprì la porta, sulla soglia c’era la Nabaat.
“Signor Katzroy, partiremo di qui il prima possibile. Per favore, si prepari.”
“È sicura? Che ne è della percezione delle cose provenienti da Pulse, o quel che era?”
Lei lanciò uno sguardo oltre le spalle di Sazh, all’interno della stanza. Quando vide che Dajh era completamente assorto nel giocare col pulcino di chocobo, disse a bassa voce:
“Il Sanctum ha deciso di costringere tutti i cittadini di Bodhum a lasciare la città.”
Ciò significava che avevano deciso di obbligare tutti quelli che potessero provenire da Pulse a lasciare la città, per essere spediti su Pulse. Ne parlò come se fosse la cosa più logica da fare dopo aver messo una città in stato di quarantena.
“Dopo che sarà stato fatto l’annuncio, crediamo che ci sarà un po’ di trambusto.”
Quello era un eufemismo. Già alla gente era stato impedito di lasciare la città; se fosse stata costretta a scendere su Pulse – l’inferno – sarebbe andata a finire con scontri tra civili e soldati. Sarebbe stata solo una questione di tempo.
“Ovviamente dobbiamo sbrigarci a trovare i l’Cie di Pulse, ma tenere Dajh al sicuro è la cosa più importante. Una volta che l’aeronave sarà pronta, partiremo.”
La Nabaat si girò e uscì dalla stanza, lasciandosi dietro solo le sue parole.

Lasciarono la guarnigione solo poco più tardi. Non gli fu detto se sarebbero tornati o meno al centro medico; fu ordinato loro di salire sull’aeronave, nient’altro. Dajh lasciò la stanza senza opporre resistenza e senza fare capricci.
Sazh pensò che Dajh avrebbe giocato col chocobino come aveva fatto all’andata, durante il viaggio verso Bodhum, ma invece rimase tranquillo. Rimase seduto, osservando Bodhumattraverso il finestrino.
“Papi, qualcosa sta volando.”, disse Dajh sussurrando.
“I cieli di Bodhum sono stati presi sotto controllo dalla flotta aerea PSICOM, perciò non c’è da sorprendersi. Sono sicuro che ci sono un sacco di… eh?”
Guardando fuori dal suo lato, vide quel “qualcosa” verso cui stava indicando Dajh. Appariva come una normale nave militare ad alta velocità, ma si muoveva in modo strano.
“Cosa stanno facendo?”
Poi capì perché la nave gli era apparsa strana. Era inseguita da altre navi militari. La stavano addirittura attaccando. La nave stava cercando di evitare gli attacchi, zigzagando qua e là, facendo apparire bizzarra la traiettoria di volo. La nave era diretta verso le rovine, e andava verso di esse.
“Stanno cadendo!”, urlò Dajh. La nave era stata colpita, e dalla parte posteriore usciva del fumo nero ma, nonostante questo, stava avvicinandosi sempre di più alla parte superiore delle rovine. Poi qualcuno saltò dalla nave.
“Un civile?”
Da lì sembrava essere una ragazza giovane. Tese la mano verso la nave, e urlò qualcosa. Ma certo, ecco perché erano stati inseguiti. Alcuni civili avevano rubato la nave. Poi la ragazza fu risucchiata all’interno delle rovine. La nave dalla quale era venuta scomparve dalla vista. Cos’era appena successo?
“Dajh, hai visto qualcuno saltare da quella nave sulle rovine?”
La Nabaat era in piedi dietro di loro. Dajh annuì.
“E l’hai vista sparire?”
“Non è sparita. Si trova all’interno.”
A quanto pareva, i suoi occhi non l’avevano ingannato; lei era veramente stata risucchiata all’interno delle rovine. Ma ciò voleva dire che c’erano persone che erano nelle rovine, intrappolate dal fal’Cie di Pulse.
“Bel lavoro, Dajh”, disse la Nabaat, e gli diede dei colpetti sulla testa. “Di cosa sta parlando?”, pensò Sazh. “Non dovrebbero cercare di soccorrere quella ragazza?”
“Voi… dovete salvarla!”
“No, non dobbiamo. Quei Resti saranno portati su Pulse, sigillati come lo sono adesso. Andranno nello stesso posto in cui sta andando il resto dei cittadini di Bodhum, quindi non c’è alcun problema.”
Sazh non riusciva a credere alle sue orecchie. Stavano per spedirli su Pulse? Aveva detto veramente così?
“Inoltre, è altamente probabile che quella fosse una l’Cie di Pulse. Non crede?”
“Un nemico di tuo figlio”, è questo ciò che intendeva dire veramente. La Nabaat guardò Dajh. Lui aveva già perso interesse verso ciò che c’era fuori dal finestrino, e stava correndo qua e là con il cucciolo di chocobo. Dajh aveva percepito un’altra cosa proveniente da Pulse, ma la sua missione non era ancora stata completata. Nonostante avesse visto una ragazza che poteva essere una l’Cie di Pulse, ancora non si era trasformato in un cristallo. Ciò significava che la missione di Dajh consisteva nel trovare i fal’Cie di Pulse, o i l’Cie, e sconfiggerli.
“Dajh ha mostrato interesse per la nave che stava trasportando quella ragazza, perciò probabilmente è meglio che spediamo quelle rovine su Pulse senza interferire con loro.”
Sazh perse improvvisamente il controllo.
“Ah, crede che sia meglio così? Cosa diavolo ha che non va? Se le spediamo su Pulse…”
Se fossero state spedite su Pulse, allora nessuno su Cocoon sarebbe stato in grado di raggiungerle. Quindi Dajh non sarebbe mai stato in grado di completare il suo Focus.
“Se le spediamo su Pulse, allora i cittadini di Cocoon saranno liberi dalla minaccia di Pulse.”
“Quello potrebbe stare bene a lei, ma che mi dice di Dajh? Lascerà che si trasformi in un Cie’th? Allora perché gli avete fatto tutti quegli stupidi test?”
La Nabaat non batté ciglio.
“Ovvio, stiamo facendo tutto questo per la gente di Cocoon. Sta dicendo che esiste qualcosa di più importante di questo?”
“Cos…”
Non era mai stato così infuriato. Le parole gli rimasero in gola. Serrò i pugni, ma questi tremavano in modo incontrollato.
“Non mi fraintenda, Signor Katzroy. È mio compito proteggere i cittadini di Cocoon dalla minaccia che Pulse rappresenta.”
Le sue parole erano fredde come il ghiaccio. Un terribile sorriso le sorvolò le labbra.
“Non è una buona idea urlare troppo, vero? Pensi a come si starà sentendo suo figlio in questo momento.”
Sazh volse lo sguardo in cerca di Dajh. Quella non era una conversazione che un bambino avrebbe dovuto ascoltare. Fortunatamente era troppo preso dall’arrampicarsi sui sedili, perciò non si era nemmeno accorto di loro. Sollevato, sentì tutta l’energia fuoriuscirgli dalle gambe. Cadde sul sedile dietro di lui e si prese la testa tra le mani. Sentì i passi di ritirata della Nabaat, ma non riuscì a fare appello all’energia rimastagli.
“Non posso fare nulla”, pensò. Lo sapeva fin dall’inizio. Per gli PSICOM e il Sanctum, Dajh non era nient’altro che uno strumento da utilizzare a loro piacimento. Dinnanzi alla sicurezza di Cocoon, un singolo bambino non aveva alcuna importanza ai loro occhi. Non solo per la Nabaat, ma per tutti gli PSICOM… no, tutta Cocoon l’avrebbe pensata allo stesso modo.
Ovviamente Sazh pensava che, finché Dajh fosse stato salvo, il resto di Cocoon avrebbe potuto andarsene al diavolo. Ciò voleva dire che lui era l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa per suo figlio. Doveva solo completare la missione di Dajh al posto suo, con le sue stesse mani. Non importava se fosse completata o meno, non sarebbero comunque potuti tornare alla vita che conoscevano. L’unica cosa che lo attendeva era la morte, o qualcosa di simile ad essa. Tuttavia, essere un cristallo era molto meglio che essere un mostro.
Doveva distruggere il fal’Cie di Pulse. Ma era in grado di farlo? Era un uomo normale. Un uomo normale avrebbe potuto distruggere una cosa così potente come un fal’Cie? No, non era quello il problema. Si ricordò della ragazza che aveva urlato qualcosa dalla cima delle rovine. Era impossibile che avesse potuto arrivare fin lì, evitando tutti quei soldati e giungendo fino alle rovine. Ma ce l’aveva fatta. Come aveva detto la Nabaat, quelli probabilmente erano nemici di Dajh. Ma gli avevano dato speranza. Anche se era una cosa che appariva impossibile, aveva tutte le ragioni per provarci.
“Dajh…” Aveva intenzione di dirlo dentro il suo cuore, ma il nome gli sfuggì dalle labbra.
“Che c’è, papi?”
Dajh era sui sedili dietro di lui. Saltò alle sue spalle e guardò in faccia Sazh.
“No… non c’è niente.” La vista gli si annebbiò. Guardò fuori dal finestrino. “Il papà si fa un sonnellino, d’accordo?”
“Okay.”, disse Dajh, correndo via. Sazh rimase sdraiato, con gli occhi chiusi, ad ascoltare il cinguettio del chocobino e le urla felici di Dajh.

Quando tornarono al centro medico, furono messi in stanze separate. Sazh aveva chiesto che lasciassero almeno andare il chocobo insieme a Dajh, ma gli avevano detto di no.
“No! Voglio stare col papà!”
Dajh si teneva stretto all’orlo del cappotto di Sazh e non mollava la presa. Forse Dajh sapeva cosa stava pianificando. Aveva capito che sarebbe andato a distruggere il fal’Cie nelle rovine prima che riuscissero a spedirle su Pulse.
“Mi dispiace, Dajh, ma ci sono test che dobbiamo fare. Dovrai avere un po’ di pazienza. Domani ti lasceremo giocare con tuo padre per un po’. Andrebbe bene?” La Nabaat sorrise.
Dajh sembrava smarrito. Si teneva stretto a Sazh.
“Una volta che avrai finito coi test, ti comprerò qualsiasi cosa vorrai. Cosa ti piacerebbe? Un libro illustrato? Un grosso chocobo giocattolo?”
“Davvero?”
“Sì, davvero. Qualsiasi cosa vorrai, chiedi e basta.”
“Voglio andare al Nautilus Park! Voglio vedere tutti i chocobo!”
Ancora col Nautilus Park. L’aveva nominato anche durante il festival dei fuochi d’artificio. Vuole davvero andare là e vedere tutti quei chocobo. Credeva che Dajh gli avrebbe chiesto qualcosa, così avrebbe avuto una scusa per andarsene e raggiungere le rovine. Ma Dajh non stava chiedendo delle cose. Voleva un posto, voleva passare del tempo insieme a suo padre. Perciò fece una promessa. Cos’altro poteva fare?
“D’accordo, una volta che avrai finito coi tuoi test, andremo al Nautilus Park insieme.”
Il cucciolo di chocobo cinguettò come per avvisarli di non dimenticarsi di lui.
“Ovviamente porteremo anche il piccoletto.”
“D’accordo! Promesso, vero papi?”
“Promesso.”
Una promessa che non sarebbe mai stato capace di mantenere. Se Sazh avesse sconfitto il fal’Cie, Dajh sarebbe diventato un cristallo ancor prima che i test fossero finiti. Se non fosse riuscito a sconfiggerlo… lui sarebbe diventato un Cie’th.
“Fai solo il bravo mentre fai i test, okay?”
Dajh annuì quando Sazh lo pose a terra e lo lasciò andare. Era veramente felice, sapendo che sarebbe riuscito ad andare al Nautilus Park. Sorrideva. Quel sorriso aveva sempre sollevato Sazh, l’aveva tenuto su. Era il suo tesoro. “Non ti lascerò diventare un mostro”, giurò. “Anche se diventerai un cristallo, voglio che tu continui a sorridere fino alla fine…”
Impresse il viso di Dajh nella sua mente, e provò a sorridere a sua volta. Si chiese se ne fosse capace. Non poteva far sapere a Dajh o a Jihl che proprio in quel momento gli stava dicendo addio.
“Va bene, Dajh, ora torni nella tua stanza? Verrò da te presto.”
“Okay. Papi, me lo prometti, vero?”, disse, e corse fuori. Così com’era arrivato, improvvisamente era sparito. Sazh serrò i denti. Tutto ciò era per il suo bene…
“Grazie per la sua collaborazione, signor Katzroy.”
“Eh? No…”
Era come se lei si fosse già dimenticata ciò che si erano detti sull’aeronave. Si inchinò leggermente verso di lui. Era brava; lui non sapeva se sarebbe stato capace di mettersi contro di lei. Ma doveva trovare un modo per batterla in astuzia. Fece del suo meglio per calmarsi prima di parlare.
“C’è solo una cosa che vorrei chiederle.”
Sapeva di essere osservato, esattamente come lo era Dajh. Se voleva raggiungere Bodhum, prima di tutto doveva inventarsi una scusa per partire.
“Vorrei andare a Palumpolum a comprare un libro illustrato, un giocattolo o qualcos’altro… sa, per Dajh.”
C’era un grande negozio a Palumpolum che non aveva nient’altro che libro e giocattoli per bambini. Quando era un pilota di lunga distanza, si fermata spesso a quel negozio e comprava a Dajh ogni tipo di regalo. All’epoca non sapeva proprio cosa piacesse a Dajh, perciò comprava semplicemente la prima cosa che vedeva. Questa cosa faceva ridere sua moglie.
“Be’, sai… deve essere difficile per un bambino così piccolo dover sopportare tutti quei test. Vorrei comprargli qualcosa per farlo divertire, per distrarlo. Capisce, solo questo.”
“Sì, sono certa che renderebbe Dajh molto felice.”
“Se partissi ora e mi sbrigassi, potrei tornare domani, per il tardo pomeriggio. Ma se Dajh chiede di me, potete non dirgli dove sono andato? Non voglio che si preoccupi.”
“Certo, capisco.”, disse lei, sorridendo. Poi disse:
“Bene allora, perché non prende una delle nostre aeronavi militari? Se va a Palumpolum, farebbe molto prima così piuttosto che prendendo un qualsiasi volo civile.”
Proprio come immaginavo, pensò Sazh. Avrebbero continuato a tenergli gli occhi addosso, costasse quel che costasse. Era lieto di aver scelto Palumpolum. Se fosse stata una piccola cittadina, non sarebbe stato in grado di scrollarseli di dosso, ma in una città grande e affollata come Palumpolum sarebbe stato facile scomparire.
“Mi sarebbe davvero molto utile, grazie.”
Quella cosa doveva funzionare. Doveva davvero. Si sforzò di sorridere.

Capitolo 7

In realtà non ho avuto problemi ad allontanarmi dai miei cani da guardia. Sono sempre andato in quel negozio a comprare dei regali per Dajh. Conosco ogni angolo. Ciò gli insegnerà a non sottovalutare un civile. Una volta lasciata Palompolum, sono passato dai treni alle aero-bici a noleggio, senza mai fermarmi. Non potevo fermarmi.
La parte più difficile sarebbe stata tentare di entrare a Bodhum, ma è stato molto più facile di quanto avessi creduto. Gli PSICOM avevano l’ordine di non far uscire nessuno, neanche un topo. Ma non avrebbero mai sospettato che qualcuno cercasse di entrare.
Ho detto loro che mia moglie e mio figlio erano in città, e che volevo essere insieme a loro. Se dovevano essere spediti su Pulse, allora avrebbero potuto essere spediti lì come una famiglia. È stato davvero facile, non si sono nemmeno preoccupati di controllarmi. Ho fatto un bel lavoro, non credi?
Bene, ora è venuto il momento che ci separiamo, io e te. Dopotutto, si dice che Pulse sia un inferno. Prima di arrivarci, però, dovrò sconfiggere quel fal’Cie. Non sarà facile. Quindi, mi dispiace dirlo, ma non posso proprio portarti con me. Non credo che i soldati mi impediranno di farti uscire dalla città. Quando sarai fuori da Bodhum, potrai andare dove vorrai. Siamo stati insieme per poco tempo, ma mi hai aiutato molto. Hai aiutato anche Dajh, credo. Gli hai dato qualcosa che lo facesse stare allegro. Quindi, grazie.
Gwaaaaaah, cosa diavolo? Cosa stai facendo? Owowowow. Smettila di picchiarmi col becco! Che cosa ti prende!?
Vuoi… venire con me? Quindi credi che non ce la possa fare da solo? Va bene, va bene. D’accordo. Completeremo la sua missione per lui, e poi torneremo da lui insieme. Okay?
Oh giusto, non abbiamo mai trovato un nome per te. Dajh è stato così impegnato a giocare con te che se n’è dimenticato. Quando torneremo sarà la prima cosa che faremo. Come doveva essere? Un nome forte e carino? Sì, te ne daremo uno. È una promessa, solo tra noi due. Bene… nessuno può dire di che sesso sia un chocobo, ma comunque…

Tutti i treni alla stazione di Bodhum erano bloccati, tranne uno. L’unico rimasto era diretto al Margine Estremo, il punto più lontano di Cocoon. Era il treno che andava a Pulse, l’unico treno che andava lì. Le rotaie erano vecchie e arrugginite.
Tutto era cambiato rispetto a come appariva nel notiziario del giorno precedente. Nessuno andava contro i soldati. Tutti avevano rinunciato, erano in preda alla disperazione. Ormai stavano facendo tutti il loro ultimo viaggio in treno.
Non poteva permettere che sapessero che lui si trovava lì per un motivo differente. Che non si stava dirigendo verso Pulse, bensì verso il fal’Cie di Pulse. Sazh camminò come gli altri, tenendo lo sguardo basso, verso i suoi piedi. Pur trovandosi lì, sentiva di avere più speranza degli altri. Aveva un piano, stava andando verso un obiettivo. Anche se non avrebbe più rivisto il suo amato figlio…
“Quando arriveremo, non avremo più la possibilità di tornare indietro. Sei ancora d’accordo?”, disse a bassa voce al cucciolo di chocobo che viaggiava all’interno della sua capigliatura. Sentì una beccata tra i capelli.
“Oh, okay, ho capito. Ci siamo dentro entrambi.”
Andiamo allora, sussurrò, dirigendosi verso l’ingresso della stazione. Per l’inizio di un nuovo viaggio, un viaggio senza biglietto di ritorno.