Da Final Fantasy Versus XIII a Final Fantasy XV
Prima parte: La certezza che sarebbe andato tutto bene
Dire che Final Fantasy XV ha avuto uno sviluppo travagliato è dire poco. Il progetto, annunciato nel 2006 con il nome di Final Fantasy Versus XIII, è stato messo per molti anni in secondo piano da Square Enix, una software house vittima delle proprie crisi e delle crisi che la circondavano, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare le più grandi difficoltà tecnologiche con cui abbia mai avuto a che fare fin dalla sua fondazione.
L’uscita di Final Fantasy XV pare abbia finalmente messo la parola fine ad alcuni problemi emersi più di dieci anni fa.
Ma cos’è successo veramente? Perché il gioco ha impiegato così tanto a venire alla luce? Alcune persone, nel tentativo di rispondere a questa domanda, vi avranno fornito motivazioni semplici, senza tuttavia andare al nocciolo della questione. La verità è una storia lunga e complicata, il cui inizio risale a molto tempo fa. In questo articolo, che verrà pubblicato in più parti a causa delle sue dimensioni, vi illustreremo per filo e per segno tutti gli eventi che hanno reso questo gioco il più “maledetto” nella storia di Square Enix.
Questo articolo è una traduzione più o meno libera – con alcune integrazioni basate su informazioni emerse solo recentemente – di un prezioso articolo scritto in francese da Jérémie Kermarrec di FFWorld, che ringraziamo per la gentile concessione. Traduzione di Nao, revisione e aggiunte ad opera di Zell.
1. La fine dell’artigianato
In origine, e fino all’arrivo di PlayStation 2, il modo di fare di Square era ben diverso da quello di oggi. Le sue produzioni erano praticamente fatte su misura e ogni nuovo gioco disponeva della propria base tecnologica. Per tanto tempo, Square fece di questo metodo un motivo di orgoglio: utilizzare delle tecnologie concepite da altri per i propri prodotti sarebbe stata quasi un’onta per i creatori della software house giapponese. Inoltre ai tempi, per dominare sulla concorrenza, era necessario non lasciarsi influenzare da limiti tecnici imposti da altri. Questo senso di competizione era così forte per Square che era presente addirittura all’interno della società, dove già ai tempi del Super NES i diversi team di sviluppo al lavoro su Final Fantasy, Secret of Mana, Romancing SaGa ecc. si sfidavano e si “spiavano” tra loro tutti i giorni, anche se, ovviamente, nel modo più amichevole possibile. Ogni piccolo gruppo tentava di sorprendere i propri colleghi con delle trovate tecnologiche che spingessero i limiti della console a 16-bit di Nintendo.
Quando il publisher iniziò a circondarsi di numerosi partner esterni ai tempi della prima PlayStation, l’illusione che continuasse a realizzare i propri giochi in maniera del tutto artigianale rimase intatta. E in effetti ciò non era del tutto falso. La parte tecnica continuava ad essere sviluppata in base alle esigenze dei creativi, ovvero i direttori, gli artisti e i pianificatori. Inoltre, affinché queste persone potessero trasformare il frutto della loro immaginazione in un videogioco, ogni progetto disponeva di alcuni programmatori chiave: degli esperti nel loro ambito che mettevano a punto strumenti comprensibili e utilizzabili solo da loro stessi. Una volta concluso un determinato progetto, però, tutti questi strumenti venivano abbandonati, senza che venissero inclusi in una biblioteca globale dalla quale potessero attingere altri programmatori della società. Anche in questo caso, si trattava di una questione di orgoglio.
Secret of Mana, Final Fantasy VI e Romancing SaGa 3: tre esempi fra i tanti dell’eccellenza tecnica di Square all’epoca del Super Nintendo.
La versione originale giapponese era l’unica della quale si teneva conto durante lo sviluppo e, per molti anni, Square non capì quanto fosse importante pensare alle versioni localizzate dei suoi giochi già nei processi di sviluppo iniziali. Per questa ragione, in particolare nell’epoca di PS1 e PS2, un Final Fantasy appena uscito in Giappone impiegava circa un anno prima di arrivare in Europa. Il gioco doveva infatti essere completato prima di essere letteralmente riprogrammato in ciascuna lingua europea, una per una. Alcuni testi erano presenti in dei file sotto forma di immagini e pertanto dovevano essere modificati manualmente dai grafici per ciascuna lingua. La versione italiana presentava solo la lingua italiana, quella francese solo quella francese e così via. Tutto veniva rifatto su misura dall’inizio alla fine. Ma il carico di lavoro necessario per queste localizzazioni aveva un effetto negativo: poteva capitare che i team di sviluppo, che spesso erano già passati al loro progetto successivo, semplicemente non avessero più tempo per dedicarsi alle versioni localizzate dei titoli già pubblicati. Per questo motivo, molti giochi non hanno mai visto la luce in Europa. Fortunatamente, altri team invece potevano addirittura sfruttare i tempi di sviluppo aggiuntivi che venivano loro offerti per completare il proprio gioco, dando origine, ad esempio, alle famose versioni “International” dei vari Final Fantasy.
L’interfaccia PlayOnline fu lanciata nel 2002 per accompagnare il lancio di Final Fantasy XI.
In questo ambiente di lavoro, che al giorno d’oggi risulta del tutto obsoleto, non ci si poneva nemmeno il problema della sostenibilità delle tecnologie. Di fatto, la prima esperienza di concentrazione degli sforzi della società risale al 2000, anno in cui Square presentò il suo servizio di gioco in rete PlayOnline, che sarebbe andato a fungere da piattaforma per Final Fantasy XI. Un’esperienza davvero all’avanguardia, specialmente contando che persino un paese come il Giappone stava a malapena cominciando ad avventurarsi nei meandri del gioco online, in particolare su console come la PlayStation 2. Tutti i team di sviluppo dell’azienda furono invitati a collaborare per contribuire alla realizzazione del portale, anche se all’epoca si trattava ancora di una semplice interfaccia comune. Oltre ad essere il primo gioco online di Square, Final Fantasy XI fu anche il primo episodio della serie ad adottare un nuovo sistema per la localizzazione dei testi, rompendo così la tradizione e forzando gli sviluppatori a modificare le loro abitudini. La natura online del gioco avrebbe comportato degli aggiornamenti regolari, di conseguenza non vi fu più scelta: i testi dovevano essere fruibili fin da subito in diverse lingue.
E se gli strumenti a disposizione fossero stati condivisi all’interno dell’impresa? Questa “folle idea” cominciò a prendere forma nella mente del programmatore Taku Murata nel 2004, mentre supervisionava i tecnici al lavoro su Final Fantasy XII. I rumor riguardanti l’arrivo di console di nuova generazione si facevano sempre più insistenti e, secondo Murata, era ormai chiaro che queste avrebbero portato a una moltiplicazione degli sforzi necessari alla creazione di videogiochi di alta qualità. Dubitava che i metodi di lavoro impiegati all’epoca sarebbero stati adeguati, quantomeno sotto l’aspetto tecnologico. Secondo lui, era tempo di creare un team specializzato. Dopo il suo arrivo in Square, Murata non aveva smesso di studiare modi per facilitare il lavoro dei programmatori: già nel 1996, aveva progettato degli strumenti di anteprima grafica 3D per Final Fantasy Tactics. Per Final Fantasy XII, progettò invece dei nuovi strumenti che permettevano, tra le altre cose, di avere un’anteprima di ogni elemento direttamente sullo schermo del televisore (che all’epoca era ancora a tubo catodico). Numericamente parlando, i programmatori erano così pochi che cercare di “coccolarli” il più possibile risultava quasi scontato. Persino in un titolo come Final Fantasy XII, essi non rappresentavano più del 10% della forza lavoro. Più di due terzi del personale era infatti formato da artisti, pianificatori e animatori.
Taku Murata presenta il suo lavoro sugli strumenti utilizzati per Final Fantasy XII in occasione della Game Developers Conference del 2007. In quel periodo, lo sviluppo del motore di nuova generazione di Square Enix era già iniziato.
Essendo riuscito a convincere i suoi superiori della validità del suo approccio, Taku Murata assunse nel 2005 il ruolo di resposabile di un nuovo dipartimento tecnologico che aveva come scopo quello di far comunicare i programmatori di Square Enix tra di loro in vista dell’arrivo delle nuove console. Fu proprio nello stesso anno che furono annunciate Xbox 360 e PlayStation 3. Per sorprendere il pubblico in occasione dell’annuncio della sua nuova console all’E3, Sony diede a Square Enix l’incarico di realizzare un video che potesse dimostrarne le potenzialità tecniche. Il team di sviluppo di Final Fantasy XIII, che in quel momento stava ancora sviluppando il gioco su PS2 utilizzando i metodi tradizionali, decise quindi di bloccare il progetto per qualche mese e, per assicurarsi di fare una buona impressione, si cimentò in una riproduzione in tempo reale su PS3 del filmato introduttivo di Final Fantasy VII. Avendo sperimentato con la nuova console e avendo compreso le possibilità che il suo utilizzo comportava, gli sviluppatori di Final Fantasy XIII presero la coraggiosa decisione di abbandonare tutto quello che avevano preparato nell’anno precedente su PS2 per ricominciare lo sviluppo del gioco da zero su PlayStation 3. Cogliendo la palla al balzo, decisero di creare un “prototipo” spettacolare che avrebbero mostrarlo con orgoglio nel 2006, in occasione della successiva edizione dell’E3. Con ancora più orgoglio, avrebbero sorpreso il mondo intero presentando un progetto molto più ambizioso di un semplice nuovo gioco.
2. L’errore originale
Forti della loro nuova politica di sviluppo “polimorfico”, inaugurata da Square Enix con la Compilation of Final Fantasy VII, allora a pieno regime, gli sviluppatori di Final Fantasy XIII avevano iniziato a pensare fin dal 2003 alla creazione di una compilation di progetti dedicata al tredicesimo capitolo della saga. Oltre all’episodio principale, che sarebbe stato concepito dal team di Final Fantasy X e X-2 e diretto da Motomu Toriyama, ce ne sarebbe stato un altro, per il quale Tetsuya Nomura aveva già realizzato i primi concept e che sarebbe poi diventato Final Fantasy Versus XIII; il nuovo arrivato Hajime Tabata avrebbe aggiunto più tardi anche Final Fantasy Agito XIII, destinato ai dispositivi mobili. Ma Nomura e il suo team stavano ancora lavorando attivamente su Kingdom Hearts II, che non sarebbe uscito prima del dicembre del 2005 in Giappone. Così, il progetto Versus XIII passò rapidamente dall’essere immaginato come un titolo per PS2 al diventare il primo della compilation che avrebbe potuto vedere la luce su PS3.
Dei tre giochi annunciati nel 2006, solo il primo è riuscito a vedere la luce mantenendo intatto il nome originale.
Il principio alla base di questi progetti sarebbe stato inedito nella storia della serie, dato che i vari titoli non sarebbero stati legati dallo stesso universo o dagli stessi personaggi, ma bensì da una mitologia di fondo chiamata Fabula Nova Crystallis, scritta da Kazushige Nojima. Final Fantasy XIII, Versus XIII e Agito XIII non sarebbero stati quindi l’uno il seguito dell’altro, ma piuttosto delle libere interpretazioni della stessa leggenda. Questo approccio ambizioso era una sorta di evoluzione del processo di sviluppo dei Final Fantasy dal VII al X, nei quali la costruzione dell’universo facente da sfondo alle vicende era diventata via via sempre più minuziosa.
Per quanto riguarda le tecnologie utilizzate, tutto iniziò a prendere piede quando anche il progetto Final Fantasy XIII venne trasferito su PS3. Il dipartimento creato da Taku Murata funse da catalizzatore per quello che sarebbe diventato il primo progetto per un “motore in comune” di Square Enix, un middleware capace di alimentare Final Fantasy XIII e Versus XIII, nonché le produzioni future. I primi concept per questo nuovo motore grafico presero forma nell’estate del 2005 sotto il nome in codice di White Engine: il bianco, infatti, era il colore scelto dagli sviluppatori di Final Fantasy XIII per definire il loro progetto.
Shinji Hashimoto (produttore) e Tetsuya Nomura (direttore) il giorno dell’annuncio della Fabula Nova Crystallis all’E3 2006. Sul palco, parlando di Versus XIII, Nomura dichiara: «Mi spiace di non avere con me degli estratti del gioco vero e proprio da poter presentare oggi, ma vi invito a immaginare di cosa sarebbero capaci i team dietro ad Advent Children e Kingdom Hearts se unissero le proprie le forze. […] Abbiamo deciso di includere degli elementi di azione estrema nel gioco, che sarà ambientato in un mondo moderno e includerà dei personaggi sensibili e realistici, così come una storia la cui tematica principale sarà quella dei legami affettivi».
In un eccesso di autocompiacimento, del quale possiamo riconoscere solo oggi l’immensa imprudenza, Square Enix annunciò i tre giochi della compilation Fabula Nova Crystallis e il motore White Engine all’E3 nel maggio del 2006, nonostante nessuno di questi progetti fosse ancora entrato in fase di sviluppo vero e proprio. Il primo trailer di Final Fantasy XIII, infatti, non era altro che un prototipo non giocabile, mentre Final Fantasy Versus XIII era stato presentato con un breve teaser formato esclusivamente da scene in CGI, che Tetsuya Nomura aveva fatto preparare in fretta e furia in occasione della fiera americana. Ciò non impediva per niente a Nomura, così come al suo collega Motomu Toriyama, di meravigliarsi delle possibilità offerte da PlayStation 3 (all’epoca non si pensava ancora ad eventuali porting per Xbox 360) e di fare sempre più promesse ai giocatori. Evidentemente, sarebbe stato meglio prendere tempo: internamente, le cose si preannunciarono presto peggiori del previsto.
Infatti, fu solo nel settembre del 2006, cinque mesi dopo l’annuncio della Fabula Nova Crystallis, che Square Enix fondò il team di ricerca e sviluppo dedicato alla creazione del motore di gioco con cui sarebbero stati sviluppati i suddetti titoli. Il nome in codice White Engine cedette il posto al nome definitivo Crystal Tools, ma l’obiettivo rimase sempre lo stesso, ovvero la creazione di un middleware dall’interfaccia intuitiva, che disponesse di motori grafici e fisici, così come biblioteche di animazioni ed effetti visivi e sonori a completa disposizione dei vari team di sviluppo di Final Fantasy XIII e Final Fantasy Versus XIII. Per preservare la tradizione di Square Enix, era già stato previsto che il motore sarebbe stato personalizzabile per ogni progetto, in modo tale da rispondere ai bisogni di ogni gioco. Il motore sarebbe infatti servito da base sulla quale si sarebbero potuti installare altri strumenti e software. C’era tantissimo lavoro da fare, ma i giochi erano già stati annunciati: si trattava di un corsa contro il tempo.
Estratti del primo trailer di Final Fantasy Versus XIII, mostrato per la prima volta nel 2006. Il trailer venne realizzato da Takeshi Nozue, co-regista di Advent Children, nonché uno dei pochi ad aver seguito il progetto nella sua interezza fino all’uscita di Final Fantasy XV.
Nel novembre del 2006, durante un’intervista, Tetsuya Nomura fu costretto ad ammettere che il team di sviluppo di Final Fantasy Versus XIII – ormai piuttosto libero dopo l’uscita di Kingdom Hearts II in Europa e già al lavoro sulla rispettiva versione Final Mix – non aveva ancora creato nulla che girasse in tempo reale, e nemmeno il sistema di combattimento, semplicemente perché il motore non era ancora pronto. Ed era ancora meno pronto di quanto sarebbe potuto essere, dato che la squadra di Crystal Tools aveva promesso a Nomura una versione speciale del motore, in grado di dare vita a tutte le sue ambizioni. Il creatore stava già sognando un gioco ricco di azione frenetica, nel quale le situazioni in battaglia potessero cambiare da un momento all’altro. Il giocatore sarebbe stato per esempio capace di entrare e uscire dagli edifici durante lo stesso combattimento, il tutto senza schermate di caricamento.
I problemi di Versus XIII, purtroppo, si riflettevano inevitabilmente anche su Final Fantasy XIII. Mentre il motore di gioco era in pieno sviluppo, Final Fantasy XIII era ancora in fase di pre-produzione forzata, con un team ridotto che cercava di fare il possibile per portare avanti il progetto, nonostante la mancanza di caratteristiche definitive dalle quali partire per poter lavorare. Mentre i team interni di Square Enix cercavano di conciliare le esigenze dei vari progetti che si sarebbero serviti del Crystal Tools, essi cominciarono finalmente a rendersi conto che la speranza di disporre allo stesso tempo di questi famosi strumenti di sviluppo in comune era vana, e avrebbe dilatato i tempi di sviluppo di tutti i giochi della FNC. Questa triste realtà forzò il publisher a dare la priorità a un solo progetto, ovvero Final Fantasy XIII. Il team di Crystal Tools realizzò quindi la versione 1.0 del motore di gioco nel settembre del 2007, e si lanciò subito nella personalizzazione dei dati per Final Fantasy XIII.
Prime immagini di Final Fantasy XIII, mostrate all’E3 2006, e immagini della demo giocabile del 2009, che venne distribuita in omaggio insieme alle prime copie giapponesi di Final Fantasy VII: Advent Children Complete.
Come conseguenza diretta di questo cruciale passo in avanti, Final Fantasy XIII entrò in fase di sviluppo intensivo nell’ottobre del 2007. I membri del team si moltiplicarono fino a diventare circa 200 solo in organico, fino al punto di svolta segnato dalla versione alpha nell’estate del 2008. Il gioco dovette però subire un ulteriore ritardo di circa un anno, ovvero il tempo necessario alla realizzazione del porting per Xbox 360. Questo inizialmente non era stato previsto, ma diventò d’obbligo quando Square Enix si accordò con Microsoft per far uscire il gioco allo stesso tempo su PS3 e Xbox 360, sia in Nord America che in Europa. Questo ritardo supplementare portò però anche dei vantaggi, dato che permise ai creatori di pubblicare una demo giocabile per PS3, di effettuare eventuali modifiche in funzione delle reazioni dei giocatori e di cominciare in anticipo la preparazione delle versioni localizzate. Per la prima volta nella storia della serie, la localizzazione era già in corso ben prima dell’uscita giapponese.
3. Primo concept, prima rinuncia
La scelta di Square Enix di privilegiare Final Fantasy XIII ebbe un’altra conseguenza: il progetto Versus XIII, per il quale c’era ancora bisogno di un motore funzionale, fu costretto ad interrompersi nuovamente e, per questo motivo, non fece alcun progresso durante tutto lo sviluppo della tredicesima fantasia finale. Fino al dicembre del 2008, il team di Crystal Tools si concentrò interamente alla personalizzazione degli strumenti per Final Fantasy XIII. Nel giugno del 2008, Tetsuya Nomura fu costretto ad ammettere nuovamente in un’intervista che il progetto progrediva molto lentamente. «Andiamo avanti solo per ciò che siamo in grado di fare», spiegò il produttore in una triste confessione d’impotenza. Una parte del suo team tecnico era stata infatti messa al lavoro su Final Fantasy XIII, che al momento era in piena fase di sviluppo, lasciando a Versus una manodopera davvero misera. La storia era in corso di scrittura, alcuni programmatori ponevano le basi del sistema di gioco e il team artistico realizzava le prime illustrazioni concettuali che si sarebbero un giorno trasformate in poligoni veri e propri. Square Enix aveva svelato Versus XIII con l’arrogante certezza che sarebbe andato tutto bene, ma due anni dopo l’annuncio del progetto questo era ancora agli albori, non tanto per problemi creativi, quanto per mancanza di tecnologie da utilizzare.
Nel 2007, Noctis (il cui nome non era ancora stato annunciato) appariva per la prima volta nella sua automobile. Anche se solo all’apparenza, l’universo di Final Fantasy Versus XIII risultava cupo e notturno.
Avendo cambiato idea dopo l’annuncio del progetto Fabula Nova Crystallis, la direzione di Square Enix suggerì per la prima volta a Tetsuya Nomura, già all’epoca, di trasformare il gioco in un vero e proprio Final Fantasy XV. Per i piani, il progetto era così promettente da avere a tutti gli effetti la portata di un capitolo numerato della serie principale. Ma il creatore non era molto a suo agio con l’idea, non solo perché questo cambiamento sarebbe arrivato troppo tempo dopo l’annuncio del titolo sotto il nome di Versus, ma anche perché l’aveva concepito come un gioco che, non essendo un episodio “classico”, si sarebbe potuto permettere di avere degli elementi ben più trasgressivi del solito.
Nella sua prima forma in assoluto, Final Fantasy Versus XIII era un ibrido tra un tipico action RPG alla Kingdom Hearts e un classico gioco di ruolo simile a quelli della prima PlayStation. L’esplorazione avrebbe dovuto ricordare molto i Final Fantasy dal VII al IX, con una world map all’antica sulla quale avremmo potuto vedere un Noctis volontariamente sproporzionato: la mappa avrebbe permesso di accedere a diverse regioni, suddivise a loro volta in piccole zone. Queste non sarebbero più state realizzate con uno stile grafico 2D che avrebbe dato un’illusione di prospettiva (come accadeva su PS1), ma bensì con uno stile grafico 3D e una visuale in terza persona. La presenza di una world map avrebbe comportato, ovviamente, l’inclusione di un’aeronave, ulteriore reminiscenza dei capitoli passati. Parlando di ciò, Nomura non esitava a vantarsi con la stampa di quanto fosse immenso il mondo che aveva ideato. I combattimenti avrebbero dovuto svolgersi senza alcuna transizione ad ogni costo, direttamente negli edifici, ed è per questo che Nomura aveva immaginato un titolo a sé rispetto agli episodi numerati: in questo modo, infatti, avrebbe potuto proporre un gioco ricco di elementi d’azione estrema. Nei primi teaser in CGI, si poteva perfino vedere il sangue fuoriuscire dalle ferite dei nemici trafitti da Noctis.
Questa fotografia, pubblicata sulla rivista “CLOUD message” nel dicembre del 2008, è il solo documento mostrato al pubblico in cui è possibile vedere alcune delle prime scelte di game design per Final Fantasy Versus XIII. Mostrava scorci tanto rari, quanto meravigliosi, di prototipi ancora molto acerbi.
Quest’organizzazione generale molto suddivisa rimase tale fino al 2008 e, nonostante fosse ancora ridotto all’osso, il team di sviluppo realizzò internamente dei prototipi in grado di dare un’idea del risultato finale. Sebbene molti elementi abbiano subito modifiche in tempi successivi, Tetsuya Nomura aveva già posto le fondamenta della storia. Il concetto di “fantasia basata sulla realtà” era già presente, ed era ormai noto che l’universo di Versus XIII traesse ispirazione da luoghi reali come Tokyo e Venezia. Altra caratteristica insolita rispetto agli episodi numerati fu la decisione immediata di Nomura di raccontare il “road trip” di quattro ragazzi, un piccolo gruppo di soli maschi avente come particolarità quella di includere un principe, Noctis, costretto a fuggire dal suo regno, il Regno di Lucis, in seguito a un attacco dell’impero nemico di Niflheim. Secondo lui il cast tutto al maschile era giustificato dal fatto che le persone, a quell’età, tendono ad avere amici prevalentemente dello stesso sesso. Per lui non c’era alcun problema in questa scelta; peraltro, dal momento che non si sarebbe trattato di un Final Fantasy della serie principale, questo cambio di rotta non aveva causato nessuna particolare reazione da parte dei giocatori.
In mancanza di scene che potessero mostrare la grafica del gioco in tempo reale, il team di Versus XIII decise di rivelare il mondo di gioco poco a poco, con degli spettacolari trailer in CGI creati da Visual Works, studio specializzato di Square Enix, e accompagnati da una musica già interamente orchestrata da Yoko Shimomura. Fu proprio con questi video diffusi poco per volta, e mostrati spesso e volentieri a porte chiuse durante alcune fiere videoludiche giapponesi, che furono rivelati i vari personaggi. Oltre ai tre amici di Noctis, dei quali ancora non si conosceva il nome, nel settembre del 2007 fu mostrata per la prima volta l’eroina Stella. Le primissime immagini in tempo reale furono finalmente mostrate nell’agosto del 2008, con un breve video raffigurante il primo incontro tra Noctis e Stella, benché privo di doppiaggio. In occasione di altre fiere successive, la durata della scena fu prolungata. Le novità erano rare e diffuse col contagocce, semplicemente perché il progetto avanzava molto lentamente ed era ancora in uno stato talmente provvisorio che nulla poteva andare storto. Purtroppo, però, fu proprio quello che accadde.
Tra il 2007 e il 2008, Final Fantasy Versus XIII continuò a mostrarsi attraverso dei trailer in CGI, nei quali fu possibile vedere per la prima volta la città di giorno, i tre amici di Noctis e l’eroina Stella.
Nel 2009, proprio mentre il team di sviluppo di Versus cominciava ad ampliarsi grazie ai membri, ormai liberi, del team di sviluppo di Final Fantasy XIII, e proprio quando erano finalmente tutti pronti a lanciarsi una volta per tutte nel progetto dopo anni di esperienza, l’architettura originale del gioco fu abbandonata. L’idea di creare un Final Fantasy che somigliasse a quelli della prima PlayStation, ma con una grafica più realistica, non funzionava. La presenza di una world map in vecchio stile era particolarmente problematica per raggiungere il livello di immersione voluto da Nomura. Il team decise quindi di rimaneggiare Versus dalla testa ai piedi, proponendo stavolta delle grandi zone aperte in scala 1:1, molto più somiglianti a quelle viste negli ultimi episodi della serie. La storia e il concept originali erano stati ovviamente conservati, ma il game design del gioco dovette ripartire da zero e fu necessaria la progettazione di un nuovo prototipo.
Questi cambiamenti non furono resi noti fino al febbraio del 2010, quando Tetsuya Nomura decise di parlarne in un’intervista concessa a Famitsu, anche se il gioco era stato mostrato giusto qualche mese prima durante il Tokyo Game Show (settembre 2009) senza che venisse detto nulla al riguardo. Com’era consuetudine all’epoca, le presentazioni più importanti erano riservate ai visitatori della fiera, ed era possibile assistervi solo entrando in una sala di proiezione privata, nella quale ovviamente erano proibite fotocamere e videocamere. Pochi fortunati poterono vedere un video che mostrava Noctis mentre correva in una vasta pianura, ricca di mostri giganteschi ma privi di texture, e nella città di Altissia, la cui folla era composta da personaggi non giocabili (NPC) presi direttamente da Final Fantasy XIII. Queste scene erano tratte da un prototipo che era stato sviluppato giusto qualche settimana prima della fiera nipponica; un prototipo che serviva solamente a testare le tecnologie messe a punto dal team di sviluppo e il cui contenuto non era nemmeno destinato ad essere mantenuto nella versione finale. Il video serviva giusto a mostrare la nuova versione realistica della world map, il cui sviluppo era iniziato qualche mese prima e il cui aspetto incompiuto era la prova evidente che il progetto era ancora lontano dal concretizzarsi. Il video offriva anche un’anteprima dell’alternanza tra il giorno e la notte, anche se all’epoca gli sviluppatori non avevano ancora la certezza di poter integrare questo aspetto nel gioco.
Nel 2009, per coloro che non avevano potuto recarsi alle fiere giapponesi, la scena del primo incontro tra Noctis e Stella costituiva l’unica dimostrazione del motore di gioco di Versus XIII. Questa scena faceva parte dei contenuti extra della “Trial Version” di Final Fantasy XIII, distribuita in omaggio insieme alle prime copie giapponesi di Final Fantasy VII: Advent Children Complete, pertanto passò ben poco tempo prima che venisse pubblicata online dai fan.
Essendo ormai passati alcuni mesi dal lancio di Final Fantasy XIII, Square Enix aveva inizialmente previsto di far tornare in scena Final Fantasy Versus XIII in occasione dell’E3 del giugno del 2010. Tuttavia, la ripresa dello sviluppo su nuove basi spinse il progetto sempre più là nel calendario della software house, e il gioco venne infine cancellato dal programma della fiera americana, anche perché Square Enix aveva comunque altri titoli da presentare per l’occasione. Uno di questi, in particolare, avrebbe avuto un impatto disastroso sulle sue attività: Final Fantasy XIV.
4. Nel frattempo, altri progetti
La situazione di stallo intorno al Crystal Tools influenzava tutti i progetti su PlayStation 3 e Xbox 360 di Square Enix, che non poteva permettersi di attendere l’uscita di Final Fantasy XIII prima di muovere i suoi primi passi nella nuova generazione di console. Così, in attesa del completamento di Crystal Tools, Square Enix decise di acquistare nel gennaio del 2007 una licenza del motore Unreal Engine 3 di Epic Games, con l’idea di creare un gioco per console indirizzato soprattutto al pubblico occidentale, che sarebbe stato (cosa ancora nuova per loro) multipiattaforma. Così nacque The Last Remnant, per il cui sviluppo Square Enix mise in piedi un team formato da vari membri dei team di sviluppo che avevano lavorato alle sue ultime produzioni per PlayStation 2, come Final Fantasy XII, Romancing SaGa, Dirge of Cerberus e Front Mission 5. Purtroppo, anche in questo caso ci furono alcune complicazioni: era infatti la prima volta che avrebbero utilizzato degli strumenti esterni, e ciò che comportava un rischio ancora più grande era il fatto che l’Unreal Engine fosse un middleware americano. All’inizio, la documentazione al riguardo era totalmente in inglese, e la sua traduzione in giapponese era appena iniziata; quel poco che era stato tradotto, inoltre, risultava spesso e volentieri confuso, a causa di alcuni errori di terminologia.
Gli sviluppatori, che erano abituati a lavorare con degli strumenti concepiti su misura, dovevano stavolta arrangiarsi con i mezzi a loro disposizione. La scelta di un motore preesistente fu un’idea del tutto difendibile, visto che si trattava di un buon modo per mettersi immediatamente al lavoro per certi aspetti, come ad esempio la realizzazione dei filmati di intermezzo; ma il voler utilizzare ancora una volta i metodi di lavoro tradizionali risalenti all’epoca di PS2 fece sì che i famosi “programmatori chiave”, per quanto talentuosi, non fossero numericamente sufficienti per poter padroneggiare tutte le nuove tecnologie. Come se non bastasse, gli aggiornamenti regolari all’Unreal Engine rappresentarono un ulteriore ostacolo per loro, dato che si trovavano in difficoltà ad integrare i cambiamenti e le varie novità che essi comportavano. La scelta di questo motore si rivelò purtroppo inadatta alle ambizioni dei creatori di The Last Remnant, ma come poterono capire anche loro, sfortunatamente era ormai troppo tardi per tornare indietro.
The Last Remnant, per il cui sviluppo Square Enix lavorò insieme ai programmatori di Epic Games, creatori del motore Unreal Engine 3.
Il team di The Last Remnant fu costretto a fare delle rinunce e, soprattutto, a sacrificare la versione PlayStation 3 del gioco: annunciata insieme alla versione per Xbox 360 nel novembre del 2008, questa venne inizialmente rimandata a data da destinarsi. Square Enix decise di non annunciare formalmente la sua cancellazione anche quando persino il produttore esecutivo Akitoshi Kawazu fu costretto ad ammettere che era stata ormai abbandonata, ed è per questo che per vari anni il gioco rimase nella classifica dei giochi più attesi della rivista giapponese Famitsu, così come sul catalogo del sito giapponese dell’editore, con tanto di dicitura “data d’uscita da definirsi”.
Essendo l’Unreal Engine 3 concepito per lo sviluppo su Xbox 360 e PC, la PS3 poneva molti più problemi, e fu proprio a causa di difficoltà tecniche che la versione di The Last Remnant per questa piattaforma venne infine cancellata. Gli sviluppatori avevano capito che non sarebbero stati in grado di far uscire una versione del gioco di qualità quantomeno accettabile sulla console di casa Sony e questo, purtroppo, non fu neppure un caso isolato. La PS3 è infatti una delle ragioni per la quale gli sviluppatori giapponesi, tra cui ovviamente anche Square Enix, hanno vissuto un periodo estremamente difficile nella seconda metà degli anni 2000. L’architettura dell’inedito processore Cell, difficile da sfruttare, aveva scoraggiato più di una software house nipponica dal buttarsi sulla nuova console, e molti avevano preferito perpetuare le loro abitudini di sviluppo rifugiandosi sul DS e sulla PSP che, nel caso della seconda in particolare, funzionavano più o meno alla stessa maniera di PS2. L’avvento del “mobile gaming” era ormai all’orizzonte.
Dal 2006, Square Enix cominciò quindi a sfornare una gran varietà di titoli per DS e PSP, sviluppati sia internamente che da partner esterni. Su PSP in particolare, l’offerta dell’editore era molto più ricca visto che i team di sviluppo dell’epoca PS2 avevano a che fare con una console molto simile a quella sulla quale avevano lavorato negli anni precedenti. In assenza di una base tecnologica da cui partire, il team di Kingdom Hearts II che avrebbe dovuto lavorare a Versus XIII fu messo al lavoro su altri progetti, in particolare Dissidia Final Fantasy per PSP. Uscito nel 2008, questo fu il primo Final Fantasy in assoluto ad essere sviluppato dai creatori di Kingdom Hearts. Nel frattempo, Versus XIII veniva ignorato ancora una volta. Molti di questi sviluppatori, tra l’altro, si erano ritrovati a lavorare per Final Fantasy XIII, che era ormai entrato in fase di produzione intensiva.
Crisis Core: Final Fantasy VII, Dissidia: Final Fantasy e Kingdom Hearts: Birth by Sleep si inserirono con facilità tra i migliori titoli del catalogo di PSP.
Al fine di continuare ad assicurare lo sviluppo di nuovi titoli della serie Kingdom Hearts, Square Enix decise di rafforzare i suoi uffici di Osaka (responsabili in passato di alcuni giochi sportivi e della serie Musashi) affidando ai loro programmatori il porting per PS2 di Kingdom Hearts: Chain of Memories e, successivamente, l’intero sviluppo di Kingdom Hearts: Birth by Sleep per PSP. Questi nuovi episodi, così come quelli su DS, non vennero più sviluppati ma solo supervisionati dai vecchi membri del team di Kingdom Hearts II, che si dividevano ormai tra gli scarsi progressi di Versus XIII e l’assistenza ai team di XIII.
Pur avendo spostato la manodopera sui giochi per console portatili, Square Enix aveva ancora bisogno di pubblicare titoli inediti per le nuove console da salotto. Cominciò quindi a rivolgersi a vari studi di terze parti per sviluppare i primi giochi, mentre i suoi team interni erano al lavoro su The Last Remnant e sul motore Crystal Tools. Grazie a un’architettura simile a quella dei PC e che facilitava enormemente lo sviluppo rispetto a PS3, Xbox 360 venne servita per prima: Game Arts e SETA realizzarono Project Sylpheed nel 2006, mentre tri-Ace realizzò Infinite Undiscovery (in origine richiesto da Microsoft) nel 2008 e Star Ocean: The Last Hope nel 2009. Square Enix in questi anni si dedicò anche a portare Final Fantasy XI su Xbox 360, prendendo come base la versione PC dell’MMORPG. Nonostante tutto, prima dell’uscita di Final Fantasy XIII nel dicembre del 2009, The Last Remnant fu il solo titolo originale ad essere stato sviluppato interamente dagli studi giapponesi di Square Enix per le console di quella generazione.
Fortress, che avrebbe dovuto essere il primo Final Fantasy concepito interamente da uno studio occidentale, e Front Mission Evolved, triste tentativo di conversione di una serie storica di Square Enix in un gioco indirizzato al pubblico occidentale.
Nella stessa epoca, alcuni publisher giapponesi trovarono una soluzione originale per continuare a proporre le loro serie storiche sulle console di nuova generazione, ovvero l’assegnazione dello sviluppo a studi occidentali, più che altro per ciò che riguardava l’aspetto tecnologico. Nel 2008, Square Enix decise di impiegare questo metodo e si rivolse quindi a due sviluppatori indipendenti. Per il primo, lo studio svedese GRIN, le cose andarano molto male. Square Enix gli assegnò lo sviluppo di un vero e proprio seguito di Final Fantasy XII, recante il nome in codice di Fortress, che avrebbe dovuto essere un RPG con elementi d’azione. Ma le divergenze di opinioni riguardanti la direzione artistica con i team giapponesi e le reazioni contrastanti della critica nei confronti dei giochi targati GRIN usciti nel 2009 spensero in fretta gli ardori di Square Enix, che decise di cancellare Fortress ancor prima che fosse annunciato. GRIN, non avendo più tra le mani alcun progetto in grado di sostenerla, fu costretta ad annunciare il fallimento nell’agosto del 2009.
Il secondo sviluppatore, Double Helix Games, realizzò invece Front Mission Evolved, che dopo la sua uscita nel settembre del 2010 ricevette dalla critica un’accoglienza decisamente poco entusiasamante.
5. Un ostacolo imprevedibile
Nel 2007, mentre Square Enix si accingeva a stabilire un ordine di priorità per i vari giochi che sarebbero stati sviluppati con l’aiuto del motore Crystal Tools, venne presa una decisione cruciale: il nuovo MMORPG della società, ancora in fase di preparazione sotto il nome in codice di Rapture, avrebbe utilizzato anch’esso il motore Crystal Tools. Questo successore diretto di Final Fantasy XI, che il produttore Hiromichi Tanaka aveva iniziato a concepire già nel 2005, sarebbe diventato Final Fantasy XIV, titolo che venne annunciato per PlayStation 3 e PC nel corso dell’E3 del 2009. Ma il publisher era lungi dall’immaginare che la scelta di utilizzare Crystal Tools avrebbe segnato il destino del gioco qualche anno più tardi, con delle gravi ripercussioni su tutte le sue attività.
All’E3 del 2005, Square Enix rivelò questa demo tecnologica sviluppata per Xbox 360. Concepita dal team di sviluppo di Final Fantasy XI, essa preannunciava un nuovo MMORPG che sarebbe divenuto infine il quattordicesimo episodio della serie.
Dopo Final Fantasy XIII, fu quindi Final Fantasy XIV e, ancora una volta, non Versus XIII a ricevere le attenzioni del team di sviluppo di Crystal Tools. Il motore era riuscito nell’intento di rappresentare al meglio la fresca e sfavillante mitologia di Final Fantasy XIII, benché con il ricorso ad alcuni stratagemmi: i realizzatori dei filmati di intermezzo avevano potuto infatti eludere alcune difficoltà registrando tutti i filmati più longevi sotto forma di file video che la console avrebbe semplicemente letto senza alcun lavoro di calcolo da parte del processore. In questo modo si era inoltre potuta evitare un’installazione obbligatoria del gioco sul disco rigido della console. Ciononostante, mentre i video avevano una qualità ottimale su PS3 grazie al supporto Blu-ray, lo stesso non si poteva dire di quelli della versione 360 che, nonostante occupasse ben 3 DVD, presentava comunque filmati di intermezzo la cui compressione era visibile a occhio nudo, specie nelle scene più concitate.
In ogni caso, durante lo sviluppo di un MMORPG, non era concepibile utilizzare stratagemmi simili. Nonostante i programmatori di Crystal Tools fossero al lavoro per personalizzarne gli strumenti in funzione di Final Fantasy XIV, la specializzazione del motore nella grafica e nella fisica rimaneva del tutto inappropriata per un gioco online di quella portata. Inoltre, i suoi creatori presero in fretta e furia la decisione di realizzare un gioco della miglior qualità visiva possibile, anche al costo di escludere i giocatori che non disponevano di un PC di alta gamma e di complicare il lavoro di adattamento su PS3. Come se non bastasse, ancora una volta la mancanza di programmatori in grado di integrare nuove tecnologie finì inevitabilmente col limitare le possibilità del progetto. Questa malsana ossessione per la grafica creò infatti problemi di ogni sorta: gli sviluppatori passavano troppo tempo a modellare oggetti di arredamento perfettamente insignificanti, utilizzando un surplus inutile di risorse e finendo con l’essere costretti a riciclare numerosi elementi grafici che resero le ambientazioni ripetitive, spoglie e prive di personalità. La cattiva gestione delle risorse ebbe anche un impatto negativo diretto su due aspetti fondamentali di ogni MMORPG che si rispetti: il poter mostrare il maggior numero di personaggi possibili su schermo per dare al giocatore una sensazione di “mondo pulsante e pieno di vita” e la facilità nell’effettuare aggiornamenti da parte degli sviluppatori.
Le versioni alpha (in alto) e beta (in basso) di Final Fantasy XIV 1.0 mostravano già allora un MMORPG povero di contenuti, reso più complicato del dovuto da sistemi di gioco poco intuitivi.
Dopo alcuni beta test inquietanti, ciò che doveva succedere accade: lanciato frettolosamente nel settembre del 2010, Final Fantasy XIV 1.0 si rivelò un gioco malriuscito, molto incompleto e dalle meccaniche di gioco restrittive e inspiegabili per un MMORPG ad abbonamento. A ciò si aggiungevano dei problemi con i server che mettevano in pericolo la stabilità del servizio. La situazione era resa ancora più drammatica dal fatto che persino gli sviluppatori stessi, ancora prima di lanciare il gioco, erano consapevoli del fatto che lo avrebbero fatto uscire in uno stato a dir poco insoddisfacente. Tuttavia, cercavano di convincersi del fatto che sarebbero riusciti a correggere tutti i problemi nel corso del tempo, dopo l’uscita. Sfortunatamente, il gioco era talmente pieno di errori di concezione che Square Enix, messa con le spalle al muro, fu costretta a prendere delle decisioni drastiche. Il produttore Hiromichi Tanaka, che dovette assumersi la responsabilità di questo fallimento, fu rimpiazzato due mesi dopo l’uscita del gioco da Naoki Yoshida. Yoshida non aveva mai lavorato prima a un Final Fantasy, ma aveva alle spalle cinque anni di lavoro su Dragon Quest. Nel momento in cui la versione 1.0 di FFXIV iniziò a ricevere pareri negativi, fu chiesto a Hiroshi Minagawa, direttore di Final Fantasy XII, di dare un’occhiata all’interfaccia utente del gioco, e al CTO Yoshihisa Hashimoto di controllare il battle system. Infine, Hiroshi Takai, VFX artist che aveva lavorato alla serie SaGa e a Final Fantasy V, fu incaricato di investigare su cosa fosse andato storto con il lancio di FFXIV. Queste persone si consultavano spesso e volentieri con Naoki Yoshida, che stimavano come sviluppatore e direttore nonostante non facesse parte del “team di indagine”. All’incirca a ottobre del 2010, Yoshida affrontò Yoichi Wada e gli spiegò la gravità della situazione: non era possibile risolvere le cose incaricando un paio di persone di effettuare le necessarie correzioni. In quel periodo Yoshida era in procinto di imbarcarsi in un nuovo progetto, ma Wada gli chiese di provare a salvare FFXIV. Yoshida rifiutò l’offerta, ma il CEO di Square Enix gli disse che non avrebbe più dovuto parlargli di FFXIV. Yoshida continuò ad assistere e consigliare il team del gioco per circa un mese, ma le cose continuarono a peggiorare. Il 26 novembre 2010, Wada chiese nuovamente a Yoshida, stavolta in modo ufficiale, di occuparsi di FFXIV, e quest’ultimo decise di accettare il difficilissimo compito. Yoshida era fin troppo consapevole delle responsabilità che gravavano sulle sue spalle («Non c’era modo di aggiustare FFXIV, se non ricostruendo il gioco da zero», avrebbe detto anni più tardi durante un’intervista) ma, con la benedizione di Wada, poté permettersi di immaginare un lavoro più gravoso che mai: riparare la versione 1.0 nel miglior modo possibile e al tempo stesso sviluppare una versione 2.0 completamente nuova che l’avrebbe rimpiazzata, il tutto in un lasso di tempo il più breve possibile.
Il fallimento della prima versione di Final Fantasy XIV, che un anno più tardi costrinse Wada ad ammettere davanti agli azionisti che il marchio Final Fantasy era stato danneggiato, fu l’apice del clima di malcontento presso Square Enix. Infatti, già prima di allora il clima non era dei migliori perché, nonostante avesse incassato vendite assolutamente soddisfacenti, Final Fantasy XIII aveva ricevuto anch’esso delle opinioni contrastanti a causa di alcune scelte radicali sotto il profilo gameplay. Il team di sviluppo di FFXIII fu incaricato di rilasciare un nuovo gioco entro i due anni successivi, prima della fine del 2011, pertanto fu costretto ad adottare la soluzione più facile: la realizzazione di un seguito diretto del gioco, Final Fantasy XIII-2, che avrebbe sfruttato lo stesso motore del predecessore e che avrebbe avuto come compito principale quello di riconquistare la fiducia dei giocatori.
Final Fantasy XIII-2 entra in sviluppo immediatamente dopo l’uscita di FFXIII.
Nonostante i numerosi ritardi subiti, Final Fantasy Versus XIII rimaneva all’epoca il grande gioco misterioso verso il quale erano rivolti tutti gli sguardi. Nel 2010 fu oggetto di apparizioni contraddittorie che davano l’impressione che il gioco fosse ancora lontano dal concretizzarsi. Nonostante la sua assenza dall’E3 di quell’anno, il gioco apparve sulla rivista Famitsu una settimana dopo il termine della fiera di Los Angeles, con delle immagini di grafica in tempo reale della nuova versione, dotata di ambientazioni realistiche e di un mondo aperto. Su Twitter, nel pieno svolgimento della campagna promozionale per The 3rd Birthday, Tetsuya Nomura colse l’occasione per prendersi una pausa dai suoi incarichi e rivelare nuove informazioni, sorprendentemente dettagliate, riguardanti il suo lavoro su Versus, rendendo ben chiaro che il team di sviluppo stava ancora facendo molte prove, in particolare per trovare il modo di conciliare la tradizione di Final Fantasy con un sistema ricco d’azione. Il creatore, abituato a dichiarazioni enigmatiche, continuò a mantenere il segreto.
Ovviamente, non poteva ammettere pubblicamente che lo sviluppo procedeva con numerose difficoltà, legate sia al fatto che il nuovo formato di Versus lo rendeva sempre più simile a un gioco open world sia alle tecnologie a disposizione dal suo team, ormai non più all’altezza delle sue ambizioni. I metodi di sviluppo abituali di Square Enix e gli strumenti a disposizione non erano assolutamente adatti alla creazione di un vasto terreno di gioco con un sistema di combattimento in tempo reale, e per questo il team fu costretto a procedere lentamente. Di fronte a queste sfide, la software house lanciò nell’ottobre del 2010 una campagna di reclutamento atta ad aumentare i membri del team di sviluppo di Versus: le offerte erano rivolte a game designer specializzati nei combattimenti e nell’integrazione della storia nelle fasi del gioco, preferibilmente in possesso di una buona esperienza nella creazione di giochi d’azione. Questo nella speranza di trovare un modo per integrare in modo fluido un sistema di combattimento complesso e dinamico con le fasi di esplorazione di grandi ambientazioni in tre dimensioni, al contempo utilizzando una formula fedele allo spirito di Final Fantasy e offrendo la migliore qualità visiva possibile. Un vero e proprio rompicapo per gli sviluppatori, che non avevano mai realizzato nulla di simile.
Le tre immagini di Final Fantasy Versus XIII rivelate su Famitsu nel giugno del 2010 mostravano per la prima volta il nuovo orientamento del game design, sempre più a mondo aperto.
Nello stesso periodo, mentre era impegnato con Final Fantasy XIV, Naoki Yoshida cercò di iniziare a cambiare alcune delle abitudini di Square Enix. Nonostante il publisher avesse per abitudine quella di spettacolarizzare ciascuna delle apparizioni dei suoi giochi in sviluppo, con tanto di dichiarazioni enigmatiche, Yoshida decretò che il solo modo per riacquistare la fiducia dei giocatori nei confronti di Final Fantasy XIV sarebbe stato quello di essere chiari e trasparenti, cercando di tenerli all’oscuro il meno possibile. Le sue scelte furono naturalmente accolte con scetticismo, sia internamente, quando rivelò ai team di sviluppo che avrebbero dovuto lavorare a due versioni del gioco allo stesso tempo, che esternamente, poiché era ancora un perfetto sconosciuto per i fan di Final Fantasy. Il produttore si pose come obiettivo quello di comunicare più regolarmente con la community, inizialmente attraverso alcuni messaggi sul sito e sul forum ufficiale, e più tardi con le ormai celebri “Letter from the Producer LIVE”, ossia delle dirette video in streaming. In esse, dimostrò un’onestà mai vista prima d’allora da parte di Square Enix, mostrando per esempio le immagini di contenuti che dovevano ancora essere completati, invitando i membri del suo team a spiegare di persona il loro lavoro e rispondendo direttamente a tutte le domande dei fan. Non esitò inoltre ad essere completamente cristallino sulle implicazioni finanziarie del progetto, specialmente quando decise, alla fine del 2011, di ripristinare l’abbonamento mensile che era stato interrotto all’uscita della prima versione del gioco, a causa dell’ondata di malcontento dei giocatori.
Per Square Enix l’idea di rivelare i suoi dietro le quinte era scomoda, perché poteva comportare la fuoriuscita di informazioni sensibili, tuttavia il lavoro di Yoshida diede rapidamente i suoi frutti. Il produttore, che era diventato ormai il volto pubblico di Final Fantasy XIV, era riuscito a valorizzare il gioco agli occhi di tutte le persone coinvolte nella sua esistenza, dagli sviluppatori ai giocatori.
6. Non due volte lo stesso errore
Alla ricerca di una presenza più affermata a livello internazionale nel campo dei videogiochi, Square Enix completò nel 2009 l’acquisizione di Eidos Interactive, integrando così nel suo catalogo licenze di successo come Tomb Raider, Deus Ex e Hitman. Avendo preso coscienza in ritardo del fatto che i suoi team soffrivano di limiti tecnologici che gli impedivano di pubblicare tanti giochi su PS3 e Xbox 360 quanti ne avevano pubblicati su PS2, il direttore generale Yoichi Wada decise di approfittare di questa acquisizione per cominciare a creare un ambiente di lavoro più confortevole, cominciando a correggere gli errori commessi a causa del motore Crystal Tools. Convinto della bontà dell’approccio dell’allora direttore tecnologico di Eidos, Julien Merceron, Wada decise nel gennaio del 2010 di nominare Merceron direttore tecnologico dell’intero gruppo Square Enix, e lo invitò immediatamente a lavorare con gli sviluppatori giapponesi, al fine di aiutarli a risolvere i loro problemi. A Tokyo, Merceron si ritrovò ad avere a che fare con dei team poco motivati, dotati di strumenti obsoleti e inadatti alle loro ambizioni, nonché incapaci di reinvestire per innovarsi. Questa osservazione, naturalmente, si applicava anche a Final Fantasy XIV 1.0 e Final Fantasy Versus XIII, che all’epoca stavano subendo entrambi delle modifiche sostanziali. In seguito alla sua promozione, Merceron si dedicò soprattutto a motivare gli sviluppatori, ma anche alla realizzazione di un nuovo progetto tecnologico che sarebbe stato realizzato di lì a poco.
Yoichi Wada (a sinistra) e Yoshihisa Hashimoto (a destra) all’E3 del 2012.
Consapevole del fatto che il motore Crystal Tools era entrato in produzione troppo tardi rispetto all’inizio del ciclo generazionale di PlayStation 3 e Xbox 360, e che non era riuscito a soddisfare gli obiettivi prefissati, Yoichi Wada pensò che non era troppo tardi per cominciare a preparare gli strumenti di sviluppo dei giochi destinati a console di nuova generazione, nonostante queste fossero ancora lontane dall’essere annunciate. Rinnovare le capacità tecnologiche dei suoi team sarebbe stato infatti un compito a lungo termine.
Parallelamente all’arrivo di Eidos nei lidi di Square Enix, Wada decise di avviare la fondazione di un nuovo team di ricerca e sviluppo e assunse a questo scopo un piccolo gruppo di programmatori esperti che avevano lavorato in passato per SEGA. Tra loro figurava Yoshihisa Hashimoto, che aveva diretto la creazione dell’Hedgehog Engine, utilizzato per lo sviluppo del titolo Sonic Unleashed, uscito poco tempo prima: nonostante avesse ricevuto pareri discordanti riguardanti il gameplay, il gioco era stato acclamato per la qualità della grafica e delle animazioni.
Una delle specialità di Hashimoto e del suo team era il cosiddetto “physically based lighting”, un metodo di resa dell’illuminazione basato sulla fisica che era molto costoso in termini di risorse e ancora difficile da mettere in atto sulle console dell’epoca, ma che era in grado di garantire degli effetti di luce e ombre molto realistici.
Ormai avviato internamente in Square Enix, il piccolo gruppo si lanciò nel marzo del 2010 in una vasta campagna di reclutamento di nuovi talenti, rivolgendosi non solo a candidati giapponesi, ma anche a programmatori e grafici provenienti dal mondo intero. L’obiettivo era chiaro: riunire un gruppo d’élite capace di creare un motore che disponesse di una tecnologia di ultimo livello, e che fosse personalizzabile per essere conforme ai titoli giapponesi della software house. Questo motore sarebbe stato destinato alla creazione di giochi di ruolo classici o orientati all’azione, primi tra tutti i potenziali futuri episodi di Final Fantasy e Kingdom Hearts; in quel momento, tuttavia, doveva nascere unicamente come motore, senza essere ancora collegato a nessun gioco in particolare.
Il progetto fu annunciato ufficialmente nel settembre del 2010 durante la conferenza per professionisti di videogiochi CEDEC, a Yokohama. Intervenendo durante una conferenza di Julien Merceron, che presentava i motori degli studi di Eidos, Yoshihisa Hashimoto e Hiroshi Iwasaki rivelarono i primi dettagli sul loro motore, cominciando dal suo nome: Luminous Studio. Integrando nativamente DirectX 11, era stato annunciato fin dall’inizio come compatibile esclusivamente con le future console di nuova generazione e sarebbe stato specializzato in shader programmabili, animazioni e intelligenza artificiale.
La conferenza intitolata “Presentazione dettagliata dei motori dei giochi di punta di Eidos” di Julien Merceron al CEDEC del settembre 2010, sigillò l’alleanza tra i programmatori di Eidos e quelli di Square Enix.
La genesi del Luminous Studio è legata profondamente all’avvicinamento tra Square Enix e Eidos, sebbene il team incaricato della sua creazione fosse basato a Tokyo e il motore fosse destinato esclusivamente a delle produzioni giapponesi. Dopo la fondazione del loro gruppo di ricerca e sviluppo, Hashimoto e i suoi colleghi visitarono tutti gli studi occidentali che facevano ormai parte del publisher: IO Interactive (Hitman), Crystal Dynamics (Tomb Raider) e Eidos Montréal (Deus Ex: Human Revolution). In questo modo il gruppo di Luminous e i diversi studi poterono osservare le rispettive tecnologie (Crystal Engine e Glacier 2) e scambiarsi codici sorgente. I membri del team di Luminous avrebbero fatto proprie alcune delle tecnologie impiegate da questi studi per utilizzarle sul proprio motore. Allo stesso tempo, Square Enix reclutò numerosi programmatori molto specializzati, di cui la maggior parte non giapponesi, finendo per far sì che il numero di stranieri componesse due terzi dell’organico.
Il primo compito dei membri di Luminous Studio fu la creazione di un editor di filmati, che avrebbe permesso loro di mettere a punto il loro primo progetto vero e proprio, un video di dimostrazione tecnologica chiamato Agni’s Philosophy. Perfezionato fino all’ultimo momento, questo fu rivelato all’E3, nel giugno del 2012, accompagnato dal sottotitolo “Final Fantasy Realtime Tech Demo”, per non lasciare alcun dubbio sul fatto che questa nuova tecnologia sarebbe stata destinata proprio alla creazione di un futuro Final Fantasy. Agni’s Philosophy era il frutto di un lavoro in collaborazione diretta tra i team di Luminous e Visual Works, lo studio dedicato ai filmati in computer grafica di Square Enix. Finalmente, era possibile trasferire i contenuti creati da Visual Works direttamente nell’interfaccia di Luminous e farli girare in tempo reale, grazie alla nuova tecnologia “Look Development”, cosa impensabile fino a poco tempo prima. Ma Visual Works, che fino ad allora aveva lavorato soltanto a delle sequenze pre-registrate che non necessitavano di alcun calcolo da parte delle console, non era abituata a ottimizzare i suoi progetti; per esempio, non aveva mai utilizzato la tecnica culling (eliminazione selettiva), che permetteva di far scomparire gli oggetti non visibili su schermo. Questo costrinse lo studio ad imparare come risparmiare risorse il più possibile: il video sarebbe stato fatto girare in tempo reale su PlayStation 4, decisamente meno potente di un PC di alta gamma.
La demo tecnica Agni’s Philosophy segna il ritorno dello studio giapponese Square Enix tra i colossi della scena tecnologica internazionale.
Attraverso Agni’s Philosophy, Square Enix riaffermò uno dei suoi principi fondamentali, ovvero che la tecnologia non dovrebbe mai essere dissociata dall’arte. Appellandosi a degli illustratori provenienti sia dai suoi studi giapponesi che da quelli occidentali, tra cui il direttore artistico di Final Fantasy XIII Isamu Kamikokuryo e quello di Tomb Raider, Brian Horton, Visual Works diede luogo a un universo inedito capace di risultare credibile e di fare da sfondo a questa dimostrazione visiva. Il risultato fu così sorprendente e dotato di profondità tanto artistica quanto tecnologica che alcuni giocatori si chiesero seriamente se Square Enix non intendesse usare il personaggio di Agni e il suo universo per un gioco vero e proprio.
Cliccando qui potete leggere la seconda parte dell’articolo, dedicata alle difficoltà che hanno costretto Square Enix ad annullare la versione per PlayStation 3 di Final Fantasy Versus XIII per poi riesumarla col nome di Final Fantasy XV.
N.B.:Il contenuto dell’articolo è soggetto a cambiamenti a seconda della scoperta di nuove informazioni o di dettagli più precisi riguardanti lo sviluppo di Final Fantasy Versus XIII e Final Fantasy XV. Le aggiunte e le modifiche verranno precisate in questo spazio. Fonti:
Immagini:Square Enix, GAME Watch, Andrew Hamilton (Fortress), Famitsu, Famitsu.com |
Nao
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3 risposte a “Da Final Fantasy Versus XIII a Final Fantasy XV | Prima parte”
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